I primi mesi della nuova amministrazione americana tengono banco su tutti i media del mondo. Ciò si verifica soprattutto in Europa, perché si teme la perdita di un’alleanza storica che tuttavia il socio di maggioranza già declinava da tempo come traino dovuto.
Non sarà un fidanzamento spezzato a determinare la crisi del partner trascurato: la crisi nasceva molto prima, e forse determinava, quella stessa rottura. E però si parla di Trump ovunque: con preoccupazione a Pechino e negli Stati americani non alleati; con criptica ricerca di sponde e vantaggi in Russia; tra indifferenza, curiosità o sostegno esplicito in Paesi che vogliono fino in fondo capire la direzione del vento.
Eppure non bastano solo gli strumenti della politologia e dell’economia per capire cosa succede negli States e quanto di ciò che lì avviene si proietterà sui destini del mondo. A volte occorre mettersi di lato, osservare da dentro, riscoprire tic e tematiche, istituzioni e paure recondite.
Pochi narratori americani hanno raccontato con tanta bravura come Cornell Woolrich (1903-1968) l’altro grande periodo storico in cui il mondo ha guardato all’America per sapere cosa sarebbe successo, mentre sotto i festoni, i titoli dei giornali e le medaglie in vetrina scorrevano le inquietudini del vivere.
Nel periodo di massimo fulgore del talentuoso genio noir, tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Cinquanta, iniziava una nuova America: le città diventavano metropolitane, l’energia di massa sostituiva la capanna, l’università era contemporaneamente la pista di allenamento della classe dirigente e il rifugio del dissenso.
All’alba di un consumismo viscerale e indifferente, la religione appariva fanatismo estremo, ma nei frantumi di una costellazione cristiana vitale come non mai c’erano pure i semi di un discorso di comunità che faticava a vedersi sradicato per cercare un impiego, un monolocale, una polizza dell’assicurazione.
Trump ha trovato un’America enormemente polarizzata e divisa, essendo scientemente coautore di questa divisione, e oggi è il primo a dover reagire ad essa, a tentare una normalizzazione sotto le insegne della grandeur e della prosperità. Woolrich vedeva agenti e commessi viaggiatori e la ripresa delle società per azioni dopo il tracollo del 1929; oggi le valute virtuali rimpiazzano le bolle immobiliari del collasso 2007-2008.
L’università è luogo di outsiders del discorso pubblico: quelli lagnosi, ma ascoltati, influenti, privilegiati; quelli (spesso gli studenti e le loro famiglie) indebitati cronici. Le città si dislocano, i quartieri si ghettizzano: non si va tutti verso il centro, ci si trincera e ci si sposta, scappando dai costi alti e dalla microcriminalità. Le fedi resistono, eccome, ma chi le anima e guida localmente spesso ne cavalca il simulacro esteriore, nemmeno stavolta riuscendo a dire parole di consolazione.
Truman e Roosevelt hanno avuto una grandezza storica che appare sin qui di gran lunga superiore agli Obama e Biden, ma il mito espansivo, progressista e dirigista che hanno pur con alcuni risultati coltivato ha in fondo quelle radici storico-ideologiche. Se Trump ha spezzato il filo, come negli anni Cinquanta fece Eisenhower, chi sarà il Kennedy popstar che ne decreterà (se e quando) la caduta? Di certo non Taylor Swift…
Leggere l’opera di Woolrich e le sue vette più alte (Manhattan Love Song, Frontiera selvaggia) introduce alle angosce di un mondo-formicaio, dove il vorticoso movimento si tramuta in moto inerziale perché le pedine che lo compongono non hanno alcuna idea della direzione. Le relazioni coniugali sono talvolta scabrosamente adulterine, l’ascensore sociale è violenza (si sta sulla poppa o nella stiva il tempo di un’onda), le allucinazioni individuali e collettive sono a volte più forti degli allucinogeni veri e propri.
Chissà se è in agguato, oggi, tra gli scaffali di una qualche “University Press”, un nuovo Woolrich, attratto da esperienze sessuali promiscue eppure dedito alla madre fino alla sudditanza, lavoratore instancabile e alcolista trascurato, capace di trasformare i negativi di brutte foto in affreschi che creano immaginario. L’ambiente vergato su carta scritta divenne allora sceneggiatura: ogni epoca ha il suo metaverso.
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