Con gli scritti sulla libertà si potrebbe riempire una biblioteca e le guerre in nome della libertà (in pratica tutte) hanno riempito la maggior parte delle pagine dei libri di storia. Le definizioni di libertà hanno occupato i pensieri di tutti i filosofi così come le rivoluzioni (tutte) hanno avuto la libertà come prima motivazione: e la ghigliottina tagliava le teste in nome di “libertè, egalitè, fraternitè”.



In questa prospettiva appare meritoria la volontà di due uomini liberi che sarebbe riduttivo chiamare intellettuali dato che hanno, entrambi, il pregio della concretezza, del realismo e della passione politica. Si tratta (in ordine alfabetico) di Emanuele Felice, docente di storia economica alla Uilm, già responsabile economia del Partito democratico, e di Alberto Mingardi, docente di storia delle dottrine politiche alla stessa Uilm e fondatore e direttore dell’Istituto Bruno Leoni, una delle poche realtà che tengono alta una vera bandiera liberale.



Con grande sprezzo del pericolo i due colleghi, amici e teoricamente avversari politici, hanno affilato le loro matite o, meglio, hanno accesso i loro computer, per avviare quello che hanno chiamato “un duello sulla società aperta”, in pratica un dialogo con brevi, ma succosi saggi sul passato, presente e futuro, della libertà.

Ne è uscito il libro “Libertà contro libertà” (Ed. Il Mulino, pagg. 250, € 17) che è insieme: 1) un compendio delle teorie liberali da Adamo ed Eva alla fine del mondo; 2) una guida a guardare la realtà oltre le apparenze, la propaganda e le ideologie; 3) un manuale per ritrovare la voglia di conoscere, di approfondire, di andare oltre i giudizi sommari (molto utili, per esempio, i suggerimenti di lettura finali).



Un libro importante anche se non mantiene la promessa del titolo. No, non è un duello, non è una battaglia di spada o fioretto, fatta di stoccate, di colpi improvvisi, di bruschi movimenti per ingannare chi si difende. Nulla di tutto questo. È piuttosto, ma è un elemento positivo, uno scambio di corrispondenza come si usava una volta abbandonando il linguaggio rapido e schematico dei social, rinunciando alle battute a effetto e agli slogan apodittici per lasciare spazio alle analisi pacate e alla critiche garbate.

Queste pagine, sia quelle che potremmo chiamare sommariamente da una parte di destra e dall’altra di sinistra (anche se le positive contaminazioni non mancano), hanno comunque il pregio di mettere in guardia contro quello che Luigi Einaudi considerava il più grande pericolo per la libertà: il conformismo. Nell’aprile del 1948, in un articolo per “Il nuovo Corriere della Sera”, Einaudi riferendosi al collettivismo sottolineava come “le intenzioni dei dirigenti possono essere ottime, possono essere nelle parole ed anche nelle intenzioni volte dare benessere a tutti, ma la conseguenza logica del sistema è una sola: conformismo, ossia schiavitù spirituale e mancanza del bene supremo che è la libertà. Conclusione: coloro i quali si acconciano al monopolismo economico privato e coloro i quali predicano il collettivismo o comunismo economico pubblico sono, tutti, consapevolmente o non, nemici acerrimi della libertà”.

Il libro di Felice e Mingardi raccoglie, consapevolmente o non, il monito di Einaudi perché entrambi riconoscono di fatto la necessità di lottare contro il conformismo. Il valore della libertà non deve appannarsi di fronte agli insuccessi, alle difficoltà, ai problemi. La libertà è una stella polare che indica il cammino, un cammino fatto di piccoli passi, di compromessi, di progressivi aggiustamenti. Senza rinunciare a dialogare, a confrontarsi, a rendere effettivo quel monito attribuito a Voltaire: “Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”.

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