In vita, Beppe Fenoglio (1922-1963) fu ben poco conosciuto: la notorietà lo raggiunse all’inizio degli anni Sessanta, poco prima che lo scrittore si spegnesse. I suoi libri più importanti, Una questione privata e Il partigiano Johnny, uscirono postumi. Da allora, la sua fama è cresciuta ininterrottamente, favorita ora anche dal centenario della nascita: studi, convegni, nuove edizioni delle opere, come ci informa, con un profilo understatement, un po’ British e un po’ piemontese, il sito del Centro Studi Beppe Fenoglio, ospitato ad Alba nella casa che lo scrittore abitò per quasi tutta la vita.
Qualche critico lo considera il maggior narratore del Novecento: opinione condivisa da Gianfranco Lauretano nel suo Beppe Fenoglio. La prima scelta, fresco di stampa per le edizioni Ares. Opinione che francamente non ci sentiamo di condividere, il Novecento essendo il secolo de Il fu Mattia Pascal (1904) e de La coscienza di Zeno (1923); forse il giudizio andrebbe riferito alla seconda metà del secolo scorso, anche se la palma sarebbe contesa dal Bassani de Gli occhiali d’oro e de Il giardino dei Finzi-Contini e dal Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.
Di certo, Fenoglio fu il massimo poeta della Resistenza, come riconobbe Calvino che, nella celebre prefazione alla riedizione de Il sentiero dei nidi di ragno del 1964, individuò in Una questione privata “il romanzo che tutti avevamo sognato (…) Il libro che la nostra generazione voleva fare, adesso c’è”.
Fenoglio nelle sue ascendenze culturali ha sicuramente l’Inghilterra: per l’isola nutriva un’ammirazione sconfinata, tanto che l’inglese era per lui una “lingua mentale” (Calvino) ed è noto che da adolescente aveva spesso sognato di essere un soldato dell’esercito di Cromwell, “con la Bibbia nello zaino e il fucile a tracolla”: c’è in lui un fondo puritano, morale e rigoroso, quasi ascetico, che lo apparenta a scrittori come Melville, Emily Brontë, John Milton, ma anche al molto meno conosciuto John Bunyan, autore de The Pilgrim’s Progress, romanzo allegorico del Seicento, fondamentale per la cultura puritana anglosassone e che Lauretano giustamente indica come griglia ermeneutica del romanzo La malora. Ma Fenoglio raccoglie anche l’eredità di Verga: come lo scrittore siciliano rappresentò la sintesi e il superamento del Verismo, così Fenoglio, partito dalla “cotta neoverista” de La paga del sabato, giunge all’epica esistenziale del Partigiano.
La Resistenza fu per Fenoglio un catalizzatore di energie e di idee: immerso nella vicenda storica fondamentale della sua vita, dai ventuno ai ventitré anni, essa divenne “così centrale e potente da fargli decidere di scrivere”, afferma Lauretano. Nello stesso tempo, quel fenomeno storico viene visto dall’interno e dall’esterno, anzi progressivamente si allontana, fino a diventare metafora dell’esistenza, senza perdere la sua oggettività. Come ha ben visto la critica più attenta, da Pampaloni a Pedullà, la visione della Resistenza di Fenoglio è ben lontana dall’ideologia comunista allora imperante: non solo politicamente, dato che Fenoglio fu un antifascista non comunista, combatté tra le file dei partigiani azzurri, i badogliani, e nel referendum del 1946 votò per la monarchia; ma anche dal punto di vista letterario, distaccandosi dalle opere di Calvino, Vittorini, Viganò. La sua Resistenza è un confronto con il destino, una prova individuale che attraversa il momento storico affermando un valore più alto, quello della ricerca della verità e dello scopo per cui si vive.
Questo è particolarmente evidente nel suo romanzo più riuscito, Una questione privata, che oggi ci convince più del “libro grosso”, Il partigiano Johnny, che avrebbe dovuto essere la summa della sua riflessione sulla Resistenza. Questo romanzo, pur contenendo delle sequenze splendide, come quello della fuga dei partigiani sulle colline di Alba dopo l’avanzata tedesca, appare appesantito dalla controversa questione delle diverse redazioni, che ha fatto la gioia dei filologi e meno dei lettori; così come spiace l’eccessivo ricorso al particolare inglese dell’autore, il cosiddetto “fenglese”. In Una questione privata, invece, la guerra civile viene vista di scorcio e in primo piano assurge l’odissea del protagonista, alla ricerca della verità sull’amore per la bellissima Fulvia, che qui diventa una Beatrice dantesca che potrebbe guidare il giovane partigiano Milton fuori del suo inferno. Il titolo allude infatti alla quête, cioè alla domanda sul proprio destino; il modello diventa così il romanzo di formazione, anche se tragicamente interrotto, modernamente senza risposta.
Una volta chiuso il conto con la Resistenza, è probabile che Fenoglio desiderasse volgere altrove la sua ricerca, scrivendo un “racconto marinaro o, più esattamente, oceanico”, come confidò a Alberto Bevilacqua, secondo le suggestioni degli amati Melville, Stevenson o Conrad. L’Oceano avrebbe preso il posto delle Langhe e Johnny sarebbe diventato Achab o Ulisse.
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