La folla si raccoglie silenziosa nella piazza principale della città; all’ombra delle ancora numerose torri, uomini, donne e bambini si stringono aspettando che il grande predicatore venuto dalla Spagna inizi a parlare, annunciando una fine forse imminente, in cui ai giusti sarà data la giusta ricompensa e agli empi l’eterna punizione.
Così doveva apparire la piazza di Bologna quando Vicent (Vincenzo) Ferrer, predicatore domenicano nato a Valencia nel 1350, catturava l’attenzione di immense folle in occasione del suo pellegrinaggio in visita alla tomba di san Domenico.
Proprio la predicazione è infatti uno degli elementi principali che caratterizzano l’opera dei domenicani, i Domini canes, cani del Signore, dal gioco di parole che rimanda alla visione della madre di san Domenico di Guzmán, la Beata Giovanna d’Aza, che aveva sognato di dare alla luce un piccolo cane con una torcia in bocca, con la quale avrebbe incendiato la terra, segno premonitore dell’opera di un santo che realmente, con il suo operato, creò un fuoco in grado di accendere il cuore di molti alla “carità della verità”.
Vicent Ferrer è stato uno dei più instancabili predicatori del suo tempo, momento storico delicatissimo, a causa dello scisma che tra il 1378 e il 1417 lacerò l’autorità pontificia e con essa l’unità della Chiesa, facendo sì che il suo ruolo di intermediazione tra Cielo e terra venisse meno.
L’intento principale del predicatore era quello di fare sì che la parola di Dio venisse diffusa e portasse i suoi frutti di salvezza. Da qui la preoccupazione del Ferrer per l’unità della Chiesa, che lo portò inizialmente ad appoggiare il papa di Avignone e in seguito a lasciare la corte pontificia e a dedicarsi principalmente a farsi portatore della Parola.
Una mirabile immagine – una sintesi, si potrebbe dire – dell’opera di Ferrer è raffigurata sui pannelli del Polittico Griffoni, pala d’altare realizzata negli anni settanta del 1400, originariamente collocata nella cappella della famiglia Griffoni (committente dell’opera) dedicata proprio al santo spagnolo della Basilica di San Petronio di Bologna.
Qui la figura del Santo si erge – mirabile frutto delle mani di Francesco del Cossa – in una dimensione che si colloca a metà tra il terreno e l’ultraterreno, tra quel mondo che egli invitava alla conversione e il Cielo che attende a braccia aperte, nella figura centrale di Cristo, coloro che accolgono i Suoi insegnamenti.
Vestito dell’abito domenicano, san Vincenzo regge con la mano sinistra un libro da alcuni interpretato come l’Apocalisse di San Giovanni Apostolo, mentre con la destra indica le gerarchie celesti.
Nessuna traccia di idealizzazione connota il suo volto, che anzi appare severo, fortemente segnato, come ad esprimere tutta la fatica e il peso del dover mettere in guardia contro il peccato e contro la morte definitiva (quella dell’anima) che del peccato è la conseguenza.
L’opera di san Vincenzo è ripresa anche sulla predella del Polittico, in cui sono rappresentati, per mano di Ercole de’ Roberti, alcuni dei suoi principali miracoli, sullo sfondo unitario in cui paesaggi visionari si alternano a edifici di ispirazione classica e rinascimentale (quasi a inserire queste vicende in un tempo che, come il tempo di Dio, non è delimitato da confini geografici o temporali): la guarigione di una puerpera che aveva rischiato di perdere il bambino che portava in grembo; la liberazione di un’indemoniata; la guarigione di un uomo affetto da podagra; il salvataggio di un giovane che rischiava di cadere da un tetto; la resurrezione di un bambino ucciso e smembrato dalla madre impazzita, i cui resti erano stati portati dal padre sulla tomba del Santo.
Sarebbe bello che Vicent Ferrer scendesse a predicare anche oggi in una delle nostre piazze. A ricordarci che non finisce qui, che la nostra vita terrena non è che un brevissimo passaggio – “mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, / come un turno di veglia nella notte” –, e che sta a noi cercare di renderla degna di essere vissuta, per non farla diventare solo una sequenza di fatica e dolore, ma un qualcosa che guarda oltre. Nonostante le malattie; nonostante le epidemie.
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Il Polittico Griffoni è visibile nella sua interezza a Bologna, nell’ambito della mostra “La riscoperta di un capolavoro” (organizzata da Genus Bononiae. Musei nella Città, visitabile a Palazzo Fava fino al 10 gennaio 2021), in cui i pannelli originali della pala realizzata da Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti sono stati radunati dopo 300 anni dalla loro dispersione.