In questo periodo difficile, segnato da eventi drammatici, si sente il bisogno di luci in grado di squarciare la notte della ragione. Cerchiamo perciò di scoprire un giudizio diverso grazie all’aiuto del filosofo russo Pavel Aleksandrovič Florenskij (1882-1937), di cui ricorre il centoquarantesimo dalla nascita. Abbiamo posto alcune domande che sentiamo come urgenti a Lubomir Žák, teologo slovacco, studioso del pensiero filosofico russo e autore di diversi saggi sul geniale “Leonardo da Vinci russo”.
La pandemia ha messo in crisi le nostre certezze relative all’idea di salute statisticamente assicurata per un periodo lungo di vita e allo star bene. Molti giovani hanno sofferto, chiudendosi in casa; altri hanno reagito con un’ansiosa e convulsa ricerca di rapporti sociali. Florenskij ha attraversato momenti di crisi nella sua giovinezza? Quale parola può dire ai nostri ragazzi?
Sì, anche Pavel Florenskij ha attraversato una forte crisi. Aveva circa 17-18 anni. Ad un certo momento si è reso conto che alla sua vita mancava la profondità. Certo, era amato da entrambi i genitori, dai fratelli e altri famigliari e al liceo conseguiva eccellenti risultati, perché era un ragazzo dalle straordinarie capacità intellettuali. Egli, però, è arrivato a capire dolorosamente che le relazioni, l’intelligenza, l’istruzione, il successo non potevano essere in sé sufficienti per renderlo felice, per fargli raggiungere la stabilità e l’equilibrio interiori. Più tardi, da adulto, tornerà più volte a riflettere su questo difficile ma catartico momento. E dirà che la causa del vuoto che sentiva in sé stava nell’incapacità di aprirsi alla vita come luogo abitato dal mistero, da una misteriosa e rassicurante presenza, nascosta oltre il visibile, dietro il volto empirico della realtà, ma sempre pronta a manifestarsi come suo fondamento. Non a caso Florenskij più volte scriverà dal Gulag ai figli per invitarli a intravedere nella loro vita tale presenza e a saperla avvicinare attingendo da essa forze nuove. La sua crisi giovanile si è poi conclusa con l’accendersi in lui della certezza: Dio esiste ed è vicinissimo a ogni vivente. In Lui noi esseri umani viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, assieme a ogni particella dell’universo circostante. Florenskij comunica questa scoperta a tutti noi, inclusi i nostri ragazzi. E come già ai suoi cinque figli, ai giovani di oggi ricorda che l’abituarsi allo scivolare – disinteressato e giocherellante – sulla superficie delle cose, delle conoscenze intellettuali, delle relazioni umane, dei sentimenti e degli affetti porta ad allontanarci dai grandi tesori della vita, anzi dalla sua stessa realizzazione.
L’invasione dell’Ucraina è stato un duro colpo alla stabilità internazionale, con dolore, lutti atroci, catastrofi umanitarie e rischi per tutti. Quale fu la posizione di Florenskij sulla guerra?
Florenskij non ha partecipato ai combattimenti della prima guerra mondiale, anche se c’è mancato poco e avrebbe potuto ritrovarvisi come cappellano militare. Infatti, nel gennaio 1914, appena l’Impero russo era entrato in guerra, salì sul treno della Croce rossa e ci vollero due o tre settimane di viaggio per farlo scendere, convincendolo che il suo posto era dietro la cattedra. Florenskij ha comunque conosciuto la guerra civile, scatenatasi in Russia nel 1905 e più tardi nel 1917. Il suo parere su questo evento l’ha espresso molto chiaramente in una predica tenuta da studente, davanti ai colleghi dell’Accademia teologica, che gli è costata alcuni giorni di carcere. Le parole da lui pronunciate allora sono attuali anche oggi. Soprattutto quando dice: “Chi non avrebbe difeso Cristo con il proprio petto? Possibile che solo per il fatto che Cristo non si vede allora Gli si può sparare? Insomma, prendere la mira, dritto al petto, socchiudere gli occhi e premere il grilletto? Tutto questo avviene davanti ai nostri occhi, davanti agli occhi dei cristiani! Ma noi stiamo zitti, tutti zitti, tutti se ne lavano le mani… Non però con l’acqua, come Pilato, ma con il sangue, perché ora non c’è acqua che non sia mescolata con il sangue, non c’è acqua che possa lavare via il sangue dalla Rus’, se non solamente l’Acqua Viva. Il sangue degli uccisi grida a Dio e si riversa sul santo Sacrificio dell’Eucarestia. I lamenti di chi è torturato e ucciso, di chi è morto senza essersi pentito, le grida dei carcerati, dei sofferenti salgono all’altare dell’Altissimo e là soffocano tutte le nostre preghiere. Le lacrime e i singhiozzi di migliaia di madri e sorelle turbano i nostri canti. Dio non può essere con noi: il sangue versato arriva fino alla gola; ecco, presto soffocheremo nell’oceano dei nostri delitti”.
Molte persone in Occidente sentono un vago bisogno di religiosità per affrontare la vita. In tanti si interessano al buddismo o a forme di spiritualismo sincretista. Che cosa suggerisce, al riguardo, nei suoi scritti, il geniale “Leonardo da Vinci” russo?
Anche Florenskij si interessava di altre religioni e di esperienze spirituali deiste e sincretistiche, considerandole un importante oggetto di studio. È risaputo che con l’amico e teologo Sergej Bulgakov avevano intenzione di fondare un Istituto di studi del fenomeno religioso, cosa che non si è però realizzata, a causa delle persecuzioni anticristiane e antireligiose scoppiate dopo la rivoluzione del 1917. Di fronte al feroce persecutore ateo, Florenskij aveva le idee chiare: avere una fede religiosa qualsiasi è meglio, molto meglio che non averne nessuna. Allo stesso tempo era convinto che non tutte le religioni sono equiparabili, né tutte le spiritualità. Secondo lui la lunga storia della rivelazione di Dio culmina con la persona e la vita di Gesù Cristo, perché in lui e solo in lui Dio ha rivelato pienamente chi e come veramente è: l’Essere relazionale e comunionale avvolto nel mistero del simultaneo Io sono – Tu sei – Noi siamo. “Dio è amore” – queste parole della Prima lettera di Giovanni erano per Florenskij la perfetta descrizione del Dio unitrino rivelatosi in Gesù. Al contempo era convinto che la relazionalità intrinseca dell’essere di Dio è il fondamento della relazionalità innata di tutto ciò che Egli crea, in modo particolare dell’essere umano. Ogni essere umano è strutturalmente predisposto alla relazione e la sua realizzazione avviene solo tramite le relazioni. Ed è esattamente questo fatto a determinare il giudizio di Florenskij sulle spiritualità e sulle mistiche religiose. Secondo lui solo la spiritualità e la mistica cristiana rispettano e potenziano correttamente tale predisposizione del cuore umano, in quanto poggiano sulla verità che Gesù ha mostrato in sé la misura della vera relazionalità: amare ed essere amati fino all’autonegazione di sé a favore dell’altro. Le spiritualità e le mistiche che non colgono tale misura rischiano di rompere l’equilibrio umano e spirituale della persona. L’anima umana – scrive Florenskij – che non si nutre della grazia dell’amore reciproco “e non cresce in seno alla Santissima Trinità, si secca e muore”.
Le scelte politiche del Cremlino hanno avvicinato la Russia alla Cina. Dmitrij Mendeleev, inventore della “tavola degli elementi”, aveva esaltato nel 1906 l’unione della Russia e della Cina come “la migliore garanzia del progresso mondiale non solo per questo paese, ma per il mondo intero” nel testo K poznaniju Rossii (“Sulla conoscenza della Russia”). Quale doveva essere il posto della Russia nel mondo per Florenskij?
La concezione che Pavel Florenskij aveva della Russia non era nazionalista né imperialista. Non lo era già per il fatto che privilegiando o osannando esageratamente la Russia sarebbe stato incoerente con sé stesso, avendo madre armena. Inoltre, essendo nato in Azerbaijan e cresciuto in Georgia, si è formato a contatto con differenti lingue, tradizioni e culture, respirando un’atmosfera di dialogo e rispetto. In ogni caso nelle sue opere non vi sono riflessioni su un presunto ruolo della Russia nel mondo. Questo argomento era assente nel suo pensiero. Non vi manca, invece, il tema del posto dell’ortodossia all’interno della cristianità. Ma anche in questo caso non è scivolato in visioni messianiche, non ha esaltato il cristianesimo ortodosso russo, non ha parlato della sua esemplarità, come se da esso dovesse dipendere il futuro dei cristiani. Al contrario, più volte ha messo in luce i limiti dell’ortodossia russa. In un saggio del 1924 ad esempio afferma senza mezzi termini: “Gli uomini tendono sempre a costruirsi idoli per sbarazzarsi della fatica di servire l’eterno e per consacrarsi passivamente alla semplice datità. Idoli fra i più diversi. Per gli ortodossi russi l’idolo è sovente il popolo russo stesso e le sue peculiarità, che essi pongono su un piedistallo e che venerano alla pari di Dio”. E aggiunge: “La rovina della Chiesa russa, perciò, non è stata ritenuta una catastrofe, ma ha significato piuttosto una lenta sostituzione dei principi ecclesiastici con principi etnici, e di questi con altri chiaramente peccaminosi”.
Viviamo tempi difficili. E certamente quelli di Florenskij furono terribili. Che cosa possiamo sperare? Ce la faremo?
Nonostante il dramma delle numerose guerre in atto, inclusa la guerra in Ucraina, e le preoccupanti previsioni riguardanti il futuro dell’Europa, non viviamo ancora una situazione di nichilismo diffuso paragonabile a quello affrontato da Florenskij. Eppure, dai suoi scritti e in particolare dalle lettere inviate dal Gulag si sente promanare, sì, molta preoccupazione, ma altresì speranza e fiducia. Avendole voluto infondere nel cuore dei suoi cari – pur non potendo nominare Dio a causa della severissima censura carceraria –, scrisse che anche se nel mondo vi è un caos distruttivo, questo non significa che non vi regni una “legge suprema”. E ricorda che noi esseri umani “siamo capaci di percepire questa legge suprema come la bellezza del mondo, come un velo intessuto d’oro”, e abbiamo sempre la possibilità di partecipare ad essa. Non importa che le situazioni da vivere siano difficili, complicate. Tuttavia, occorre allenare lo sguardo, sapendolo rivolgere al di là dell’oscurità. Questo è – credo – il messaggio con cui Florenskij si rivolge a noi oggi. Ci invita a guardare lontano e a cogliere le stelle, nell’oscuro firmamento dei nostri tempi, riconoscendo nella loro flebile luce il riflesso di luce della Stella radiosa del Mattino (Apocalisse 22,16). Pronta a sorgere e a guidare i singoli e l’umanità…
(Vincenzo Rizzo)
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