Chi ha detto che la disobbedienza è l’antitesi della norma? Almeno dai tempi di san Tommaso d’Aquino, giuristi e teologi cercano di trovare (o mettere a punto) un fondamento etico comune che giustifichi le diverse forme di disobbedienza al comando ingiusto. Si tratta, in tutta evidenza, di una disobbedienza che nella sua essenza originaria non ha nulla a che vedere con la trasgressione dettata dalla violazione di principi o dalla volgarità dei costumi o dalla pretesa di cambiamento delle consuetudini civili. Si parla invece di un comportamento mirato a provocare una reazione, un sommovimento culturale, un mutamento nelle leggi e nei rapporti di potere. È proprio a questa accezione etica e giuridica della disobbedienza che Domenico Bilotti dedica il suo ultimo lavoro, pubblicato per i tipi di Castelvecchi in febbraio, Disobbedire alla pena. Studio su resistenza e ingiustizia in riferimento a Francisco Suárez (1548-1617).
L’elaborazione del gesuita spagnolo, il doctor eximius della Scolastica barocca, serve a Bilotti per affermare una visione qualificata e universalistica di disobbedienza, orientata al bene comune e alla coesione sociale: lo ius resistentiae che si origina dal pensiero suarista fino al diritto pubblico dei giorni nostri non promette di realizzare altisonanti rivoluzioni, ma ambisce a generare riforme e temperamenti utili a proteggere le situazioni soggettive più deboli.
Il meccanismo appare particolarmente riuscito anche perché la grande erudizione di Suárez porta quello che, sulla carta, dovrebbe essere soprattutto il vero, grande, teologo della Controriforma a divenire piuttosto l’elemento di passaggio tra il Medioevo e il lessico giuridico moderno.
Dopo un capitolo dedicato alle fonti del pensiero suarista, che affondano fino alla grande letteratura italiana del XII e del XIII secolo, e due sezioni del volume specificamente dedicate al pensiero dell’Autore spagnolo, c’è spazio per uno sforzo di attualizzazione che appare particolarmente importante. Dapprima, Bilotti ricostruisce la dottrina di Suárez sulla colonizzazione, sul rifiuto della schiavitù e sulla limitazione al minimo del diritto di guerra – veri princìpi basilari della moderna teoria dei diritti umani, dal pensiero radicale del secondo Novecento fino al magistero di Giovanni Paolo II. Successivamente, ripercorre le forme della disobbedienza politica nel contemporaneo. Prima nei lavori preparatori della Costituzione italiana (dove la sinistra socialista e il pensiero di Giuseppe Dossetti intercettano la volontà, mai giunta a compimento, di codificare un universale diritto di resistenza), poi alle frontiere difficili del tempo odierno, concentrandosi soprattutto sulle condizioni inumane e degradanti della detenzione, sulla lotta per un Mediterraneo arabo secolare e sul riemergere della questione razziale nei diritti occidentali.
Le potenzialità di disobbedienza alla norma – persino la norma che esegue una sanzione penale – ci vengono offerte in pienezza nell’approfondito studio di Bilotti non come operazioni algebriche, ma quali forme di una democrazia inclusiva che mette a propria base la dignità umana e che esclude, appunto, solo tutte le spinte deteriori che quella dignità negano e vilipendono.
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