Nel novero dei personaggi che in Cecoslovacchia si sono attivati per opporsi al regime nazista prima e a quello comunista poi, c’è un nome che merita di essere ricordato e una storia che merita di essere raccontata.
František Suchý (1927-2018) è solo un ragazzino dodicenne allo scoppio della seconda guerra mondiale. Il padre era direttore del crematorio di Strašnice da sette anni e con l’occupazione nazista e la creazione del Protettorato di Boemia e Moravia la vita della famiglia Suchý cambia drammaticamente.
Il regime infatti inizia a mandare al crematorio di Strašnice i corpi dei prigionieri giustiziati dalla Gestapo locale. A František Suchý senior (è abbastanza comune nella tradizione ceca e slovacca dare al figlio primogenito lo stesso nome del padre) viene chiesto di svolgere il suo lavoro, compilare i moduli richiesti dal regime, rispedirli alle autorità e disperdere le ceneri delle vittime insieme al compost. I nazisti volevano evitare che intorno ai resti dei giustiziati, o sui loro luoghi di sepoltura, potessero prendere vita movimenti di opposizione più o meno forti. Quando si tratta di violare i diritti umani fondamentali, un regime totalitario troverà sempre una scusa più o meno plausibile per farlo.
I ricordi del giovane František sono drammatici: capitava spesso che al ritorno dal liceo vedesse tracce di sangue nei pressi del crematorio, comprendendo così che la Gestapo aveva mandato un nuovo “carico” di giustiziati di cui disfarsi. Ma i Suchý sono una famiglia per cui la carità cristiana non è una cosa astratta, men che meno in tempo di guerra. E così Suchý padre decide di rischiare la vita e restituire alle vittime del regime che con regolarità finivano al suo crematorio quella dignità che i nazisti volevano negargli dopo averli uccisi. Il giovane František aiuta ad archiviare la documentazione, copiata da quella che sarebbe poi stata restituita alle autorità. Il padre disperde con il compost della cenere comune invece dei resti dei giustiziati, che vengono messi al sicuro o restituiti alle famiglie. I nazisti non si accorgono di nulla e così alla fine della guerra i Suchý riescono a salvare dall’oblio la maggior parte delle 2200 vittime del regime passate dal crematorio di Strašnice.
Finita la guerra, la Cecoslovacchia cerca di tornare alla normalità e František Suchý junior non fa eccezione. Completa gli studi superiori nel 1947 e si iscrive all’università, ma la minaccia comunista è già reale e nella cerchia di conoscenze di František è forte la consapevolezza del male alle porte. Lui stesso non perde tempo in seguito al colpo di Stato del febbraio 1948. “Mi misi subito alla ricerca di qualche gruppo a cui unirmi per fare qualcosa contro il comunismo”. Si attiva per la produzione e la diffusione di volantini e pamphlet di protesta e offre protezione a un agente affiliato ai servizi Usa. Questi sarà catturato e farà il nome di František durante un interrogatorio. Nel giro di poche settimane la rete della polizia segreta si sarebbe stretta intorno alla famiglia Suchý e il processo avrebbe portato alla condanna del padre a quattro anni, della madre a quattro anni e mezzo, e di František a venticinque anni di cui ne avrebbe scontati dodici. Ma nel frattempo il regime aveva anche deciso di seguire l’esempio nazista, mandando al crematorio di Strašnice i corpi dei prigionieri politici giustiziati e chiedendo la dispersione delle ceneri in fosse comuni non documentate.
František non esita e insieme al padre ricomincia a salvare dall’oblio decine di urne con i resti delle vittime del nuovo regime esattamente come avevano fatto per quello precedente. Sappiamo per certo che anche i resti di Milada Horáková passarono per il crematorio di Strašnice ma purtroppo in quel caso il regime fece in modo di assicurarsi che andassero realmente persi. Ma la carità e pietà di František e della sua famiglia portarono comunque grande consolazione a tantissime famiglie che non avrebbero altrimenti mai potuto rintracciare i luogo di sepoltura dei propri cari, uccisi dal male comunista.
Nella sua esperienza con il sistema carcerario e giudiziario della Cecoslovacchia comunista, František Suchý non rinuncia mai ai propri valori umani e cristiani. Non sottovaluta il male ricevuto e ricorda ad esempio come “la privazione del sonno era la cosa peggiore. Al secondo giorno stavo davvero impazzendo”. Ma è anche uno dei pochi a ricordare il “lato umano” di alcuni dei suoi oppressori. In particolare ricorda un secondino che si adoperava per fare in modo che i prigionieri mantenessero i (vietatissimi) contatti con l’esterno. Scoperto e catturato, rischiò il linciaggio, ma prevalse il buon senso. Un altro ricordo è quello del secondino che si scusò con lui il giorno del rilascio.
Per František fu estremamente importante trovarsi sempre a contatto con altri prigionieri politici cristiani (sia cattolici che protestanti). La loro capacità di costruire una vera comunità anche tra le mura delle carceri avrebbe fatto letteralmente la differenza tra la vita e la morte per tanti prigionieri. Quando i genitori ne richiesero la scarcerazione con la condizionale per il resto della pena, la vita da libero non era già più idealizzata come all’inizio della prigionia, proprio perché anche in carcere Suchý aveva trovato e riconosciuto quei punti di riferimento su cui i genitori avevano basato la sua educazione.
Dopo la completa riabilitazione nel 1989, František Suchý riceverà nel 2011 l’onorificenza dell’Ordine di T.G. Masaryk dal presidente ceco Klaus e quella della Memoria Nazionale per gli atti eroici di cui si era reso protagonista durante entrambe le dittature sotto cui era vissuto. Ma ha sempre rifiutato l’etichetta di eroe: “Si tratta solo di mantenere la schiena dritta e agire secondo coscienza”. Morirà 91enne nel 2018 per le conseguenze di una caduta, non prima di aver potuto presenziare alla dedica del parchetto nei pressi del cimitero di Strašnice alla memoria del caro padre. Una famiglia, due generazioni e una testimonianza luminosa di pietà e speranza nel buio del male nazista e comunista. In memoriam.