La lettura del saggio di Leonardo Bellodi dal titolo Gas e potere. Geopolitica dell’energia dalla guerra fredda oggi (Luiss 2022) costituisce indubbiamente uno strumento utilissimo per comprendere le dinamiche dell’attuale conflitto tra Russia e Ucraina ma soprattutto per comprendere il ruolo che il gas ha avuto nella politica internazionale di questi ultimi cinquant’anni.



Nel lontano giugno del 1965 il presidente dell’Eni Eugenio Cefis accolse con favore la proposta del ministro russo del commercio estero Nikolaj Osipov di creare un accordo nel settore del gas. Si trattava infatti di un accordo in base al quale l’azienda italiana avrebbe fornito gli strumenti tecnologici necessari alla Russia per la costruzione di un gasdotto. La Russia infatti voleva una capillare rete di oleodotti e gasdotti che avrebbe raggiunto la ragguardevole lunghezza di 6mila chilometri. Solo nel 1967 – a seguito di un vertice politico coordinato da Aldo Moro – venne firmato un contratto che prevedeva che l’Urss fornisse all’azienda italiana ben 6 miliardi di metri cubi di gas all’anno per vent’anni; in cambio la Russia ottenne un prestito di 200 milioni di dollari per acquistare la tecnologia necessaria per la costruzione del gasdotto.



Vent’anni più tardi, e cioè nel giugno del 1989, il cancelliere tedesco Helmut Kohl concluse un altro accordo per realizzare un gasdotto euro-siberiano e cioè un’infrastruttura che si sarebbe dispiegata per 4.800 chilometri per giungere dalla Russia ai confini europei. Anche il presidente della Repubblica francese di allora e cioè Valéry Giscard d’Estaing dopo aver incontrato il premier russo Breznev a Varsavia concluse un accordo di grande rilevanza: prevedeva una partnership tra la compagnia francese statale Gaz de France e quella russa Soyuzgas. Questo progetto aveva come suo obiettivo quello di incrementare le esportazioni di gas in Europa. Questi accordi dimostravano in modo incontrovertibile una vera e propria collaborazione tra le risorse energetiche russe da una parte e dall’altra la tecnologia dell’economia europea con la quale l’Urss avrebbe modernizzato le sue infrastrutture.



Grazie a questa collaborazione dalle banche europee vennero concessi alla Russia crediti elevatissimi: 5 miliardi di dollari dalla Deutsche Bank, 3 miliardi di dollari dalla Credit Lyonnais, 2 miliardi di dollari dalla olandese Algemene Bank Nederland e un 1 miliardo dalla belga Société Générale. Data l’importanza della partnership vennero anche firmati contratti per fornire alla Russia acciaio per circa 3mila chilometri di tubi oltre altri strumenti come turbine da estrazione e compressione del gas. Questa tecnologia fu fornita da parte di grandi multinazionali europee tra cui la tedesca Mannsmann, l’Aeg, l’inglese John Brown, la francese Thompson CSF e l’italiana Nuova Pignone. Cosa avrebbe ottenuto l’Europa da questi accordi? In cifre: 10 miliardi di metri cubi di gas sarebbero andati alla Germania Ovest, 8 alla Francia e all’Italia, 5 al Belgio, 4 all’Austria e ai Paesi Bassi e uno solo alla Svizzera. Nonostante dunque la guerra fredda fra la Russia da una parte e l’Europa dall’altra fu possibile una proficua collaborazione sia da parte dei principali Paesi europei che da parte della Russia.

Solo con la salita alla Casa Bianca di Ronald Reagan nel gennaio 1981 questi accordi furono fatti oggetto di critiche molto forti da parte di un rapporto riservato redatto dalla Cia intitolato Siberian Pipeline. Lo scopo di questo rapporto era impedire la collaborazione tra l’Europa e la Russia per dissanguare “l’impero del male” da un lato e dall’altro per tutelare gli interessi strategici ed economici degli stessi Stati Uniti. Difficile non vedere l’analogia con la situazione attuale tra Ucraina, Russia e Stati Uniti. Nonostante gli sforzi profusi dall’amministrazione americana e nonostante il cedimento parziale di qualche paese europeo, la collaborazione continuò.

Passando alla conclusione del saggio alcune osservazioni ci paiono profondamente condivisibili. La scelta da parte di de Gaulle di puntare sul nucleare per garantire al suo Paese una indipendenza energetica fu una scelta lungimirante. Se oggi l’Italia si trova nelle sue attuali condizioni lo deve alle scelte fatte in passato che l’hanno portata a escludere il nucleare dal mix energetico, come sottolineato giustamente dall’autore. Non dimentichiamoci che è stata l’Italia a rifiutarsi di costruire impianti di rigassificazione, così come è stata l’Italia a rifiutarsi di costruire il Tap, il gasdotto con il quale oggi possiamo far arrivare il gas da un Paese diverso dalla Russia. Che dire poi del rifiuto da parte del nostro Paese di voler partecipare alla fase iniziale del progetto EastMed? Come possiamo dimenticare infine la destabilizzazione – determinata anche dal nostro Paese – della Libia?

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