È da poco in libreria la più recente fatica di Gabriele Nissim, presidente della fondazione Gariwo (Garden of the Righteous Worldwide) e infaticabile propugnatore della memoria dei Giusti nel mondo. Il titolo è provocante e provocatorio: Auschwitz non finisce mai. La memoria della Shoah e i nuovi genocidi (Rizzoli, 2022). In che senso Auschwitz non finisce mai? Un esempio ce lo abbiamo sotto gli occhi in ciò che sta accadendo nella guerra in Ucraina.



Il presidente Zelensky ha affermato che i russi stanno compiendo un genocidio simile a quello nazista nei confronti degli ebrei. Il ministro degli esteri russo Lavrov ha maliziosamente affermato, nella prospettiva di una pretesa “denazificazione” dell’Ucraina, che Zelenky ha origini ebraiche come Hitler. Quasi a dire: “I peggiori nemici degli ebrei sono gli ebrei”. A ciò sono seguite le scuse ufficiali di Putin nei confronti di Israele. Insomma, quando si tratta di condannare o giustificare un’azione politica o militare ritenuta assai malvagia, la memoria della Shoah gioca spesso un ruolo legittimante o delegittimante.



Non è certo questo il senso che Nissim intende dare al titolo del suo libro. Egli formula la sua proposta con riferimento a varie figure di studiosi e politici, tra le quali tre spiccano su tutti.

La prima è quella di Yehuda Bauer (n. 1926), lo storico ebreo di origine praghese. A parere di Nissim, Bauer opera una sorta di “rivoluzione” nell’approccio intellettuale al fenomeno della persecuzione antisemita nazista, mettendo in luce tre errori che spesso si compiono. Il primo è quello di considerare la Shoah come un effetto della tecnica e della modernità. Si tratta della cosiddetta “interpretazione funzionalista” che rischia, nelle sue versioni più radicali, di deresponsabilizzare gli esseri umani che hanno messo in atto la cosiddetta “soluzione finale”. Il secondo errore è quello di guardare alla Shoah attraverso la lente del lager, visto come un “altro pianeta” in ultima istanza incomprensibile per gli studiosi e del quale solo i diretti testimoni possono parlare. Il terzo errore è quello di leggere la Shoah in un’ottima religiosa ed escatologica, insistendo sul legame particolare che lega Dio al popolo ebraico.



Bauer invita invece a vedere la Shoah non come un “male unico”, del tutto incomparabile con altri avvenimento storici, ma come un “genocidio senza precedenti” che si può ripetere in forme diverse. Bauer si muove quindi nella prospettiva che Nissim intende sostenere, quella di un lavoro della memoria che abbia un fine essenzialmente preventivo rispetto a tutti i tipi di genocidio.

Il secondo personaggio che gioca un ruolo importante nel discorso di Nissim è Yosef Burg (1909-1999), rabbino e politico israeliano di lungo corso, leader del Partito nazionale religioso. Burg si è battuto contro la tentazione del vittimismo israeliano che impedisce ogni forma di empatia con le tragedie che colpiscono altri popoli e che può servire a giustificare atti politici moralmente illeciti. Non bisogna più dire “Questo [il genocidio] non succederà mai più a noi!” ma “Questo non succederà mai più!”. Secondo Burg Israele avrà finalmente vinto definitivamente Hitler solo quando costruirà un’identità “aperta e inclusiva” capace di ospitare i cittadini non ebrei.

La terza figura importante è quella di Raphael Lemkin (1900-1959), il giurista ebreo polacco che per primo elaborò la nozione di genocidio e che si batté a lungo perché l’Onu approvasse una convenzione contro il reato internazionale di genocidio (come in effetti avvenne il 9 dicembre 1948). Il pensiero e l’opera di Lemkin si fondano sull’assunto che sia possibile prevenire i genocidi tramite lo strumento di un diritto internazionale che giustifichi il diritto di interferenza e l’uso della forza di dissuasione da parte della comunità internazionale. Sta qui la base teorica dei tribunali penali internazionali che sono stati istituiti a partire soprattutto dalla fine dello scorso secolo.

Nissim si muove con saggezza e perizia all’interno di questioni assai complesse e spinose. Alcuni studiosi hanno infatti messo in dubbio che la memoria della Shoah (perlomeno come essa viene attuata negli Stati occidentali) possa svolgere davvero un ruolo preventivo nella società civile (vedi ad esempio il volume di Valentina Pisanty I guardiani della memoria. Il ritorno delle destre xenofobe, Bompiani 2020). Altri studiosi sono assai critici nei confronti del modus operandi dei tribunali internazionali e mettono in guardia contro la limitazione della sovranità nazionale determinata dal diritto di interferenza e dall’uso della forza di dissuasione, in quanto a volte tali strumenti sono succubi di scelte di carattere più politico che giuridico.

Il volume si presenta comunque come un’ottima rassegna di carattere divulgativo delle interpretazioni della Shoah e come un’efficace trattazione dei problemi principali che i conflitti di memoria generano.

Il libro sarà presentato lunedì 9 maggio alle ore 18.30 nel Teatro Franco Parenti di Milano. Interverranno insieme all’autore Andrée Ruth Shammah, Haim Baharier, Massimo Recalcati, Francesco M. Cataluccio e Anna Foa.