Germania anno nero di Edoardo Laudisi e Matteo Corallo (Epoké, 2020) ha lo sguardo di un chirurgo che incide un paziente, cercando di rimanere impassibile quando in realtà sta operando su un parente stretto. Pagina dopo pagina vengono rimossi strati dopo strati di valutazioni frettolose, preconcetti e mattoni ideologici tramite i quali l’osservatore italico casuale guarda la Germania e la Germania guarda sé stessa.



Il lavoro degli autori nel riportare, correlare e analizzare cause e conseguenze di eventi singoli di cui il grande pubblico non può tenere traccia nel turbinare continuo di notizie appare simile alla decodificazione di un messaggio cifrato e a un’amarezza di fondo nel disvelarsi di quest’ultimo.

Si procede quindi a smantellare il mito dell’incredibile percentuale della disoccupazione tedesca, della “felice integrazione” a seguito dell’apertura delle frontiere nel 2015 e ad analizzare il freno al commercio internazionale seguente all’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Il saggio analizza successivamente i disordini di Chemnitz e la sordità autoimposta di stampa e politica nell’interpretazione di tali eventi come di rigurgiti di estrema destra in quella che era in definitiva l’esplosione delle tensioni economiche e sociali seguite dalla riunificazione delle due Germanie.



Come in Italia, la piega liberista dei partiti tradizionali della sinistra, primo fra tutti l’Spd, ha alienato dalla politica grandi fasce della popolazione. E, citando direttamente dal testo: “[…] le prese di posizione dell’intellighenzia tedesca si muovono tutte su questa traccia: esiste un bel mondo aperto, multiculturale, democratico, dove regna l’armonia dei giusti. Questo paradiso è minacciato dai nazisti. Chiunque sia contro l’immigrazione (incontrollata), il neoliberismo economico, la morale del politicamente corretto e i valori del multiculturalismo imposto dall’alto fa parte dei cattivi nazisti che vogliono distruggere il mondo dei giusti”.



Lo scontro Italia-Germania in seguito al caso di Carola Rackete diventa ancora più paradossale quando si pensa che, sotto silenzio, la Germania espelle circa 20mila migranti l’anno, privilegiando chi può integrarsi nel mondo del lavoro tedesco e chi no.

E per continuare quest’opera di autoconvincimento si fa di tutto, almeno di facciata, con sentenze assurde (il caso di Dresda) e cambi ai nomi delle vie per rimuovere le tracce di un passato troppo scomodo da affrontare.

Da qui in poi la diga inizia a cedere in più punti: dall’ignorare deliberatamente il riciclaggio di capitali nella mafia su suolo tedesco ai continui problemi delle ferrovie; dal costante disprezzo verso gli “italiani spendaccioni” ai ritardi nei lavori per le grandi infrastrutture (e al parallelo aumento dei costi, proprio come da noi).

Allargando il discorso sulla scala più ampia dello scacchiere europeo e prendendo le mosse dalla Brexit, il quinto capitolo del libro si concentra sul tema dell’Unione Europea, sulle sue contraddizioni e come i rapporti/scontri/confronti tra Italia e Germania siano un’efficace cartina tornasole per esaminare tensioni, speranze e disillusioni di tutto il Vecchio Continente.

Fin qui si potrebbe però ritenere questo saggio, come infiniti altri, solo un’analisi che prende ciò che le serve per sostenere la sua tesi: ma l’intervista che chiude il libro a Seytan Ates, donna e avvocato che ha fondato una moschea sui generis a Berlino, fuga ogni dubbio.