Giampiero Neri (Erba 1927) è un poeta assetato della verità, un grande solitario delle nostre Lettere, che ha scelto come dominanti della propria ricerca il male, la memoria e l’osservazione della natura.
Negli anni la sua scrittura si è fatta sempre più essenziale: Neri cesella i suoi cammei (“scrivo poesie in prosa”) con la pazienza di un certosino, come testimonia Piazza Libia, la sua nuova raccolta uscita per Ares (dove lo scorso autunno era apparso Da un paese vicino). L’apparente semplicità della sua dizione è il punto di arrivo di un lungo viaggio, di un corpo a corpo con la parola per la massima aderenza alla realtà.
Piazza Libia è un mosaico lucidissimo che ha per scenario il piazzale alberato su cui si affaccia la casa del poeta da più di cinquant’anni: “con i suoi duecento alberi, platani in prevalenza ma anche pini e arbusti di melograno, forsizia e altre specie”.
Per Neri Piazza Libia è un Eden: “un’oasi in una città che corre. Milano mi dà l’idea di un formicaio, che gira pazzamente intorno a Piazza Libia… È un approdo, uno scoglio: pur toccato dai flutti è risparmiato nella sua sostanziale identità di prato circondato da alberi. Inizialmente, la piazza era votata al gioco dei bambini, ma adesso i bambini non giocano più sui prati…”.
I protagonisti di questo teatro sono uomini comuni, vite lontane dai riflettori. Sono spesso “sconfitti”: vagabondi, malati, uomini che non hanno coronato il sogno professionale o che inseguono amori senza ritorno. Come Attila, il profugo venuto dall’Est o la giovane e sognante Valentina o il panettiere laureato in Lettere. Esistenze inquiete in balìa della giornata, ma che sanno cogliere il dono dell’amicizia: gioiscono di piccole cose, stimano come un tesoro la conoscenza di altre persone, la loro unica ricchezza, e, in fondo, si interrogano sul senso della vita.
In questo campionario spicca la figura del signor Giovanni. Un ex magazziniere che “avrebbe dormito sugli alberi come le scimmie” se il fratello non gli avesse prestato un box dove ripararsi. Un sapiente che trascorre le giornate a leggere sulla panchina e che dispensa la cristallina saggezza di Fedro o Esopo:
“Sulla scena di piazza Libia, con le sue piante, i cespugli e quei platani in doppia fila che fanno corona, è facile incontrare un personaggio, un uomo sulla cinquantina, disoccupato in apparenza, di nome Giovanni che vive della benevolenza altrui.
È quasi leggendario per il talento, l’eloquenza e anche la saggezza.
Non ha fissa dimora. Per ogni evenienza, durante il giorno, fa capo al giornalaio, che dice di lui: ‘È puerile, un immaturo'”.
Rachel Bespaloff in uno dei suoi splendidi saggi sui personaggi omerici (cfr. Sull’Iliade, Adelphi, 2018) spiega che Ettore è un uomo che ha perso tutto, fuorché se stesso. È così anche per il signor Giovanni raccontato da Neri (del resto la sua Piazza Libia con il suo corteo di vinti è molto “ettorica”): è stato un cattivo studente, ha perso il lavoro, è innamorato di Maria (“che sembra un’antica donna romana”) “a cui scrive messaggi amorosi e puerili in stampatello”, ma naturalmente non è ricambiato.
Eppure, c’è qualcosa di grande nel suo animo. Le sconfitte lo hanno modellato, gli hanno insegnato a cogliere l’essenziale, e infatti spesso sorprende il poeta con la felicità delle sue intuizioni:
“Di solito è seduto su una panchina.
Gli offro un caffè e parliamo un po’. Ho citato un verso di Lao-Tse, il filosofo noto anche per l’oscurità dei suoi testi. Il verso dice: ‘Sebbene illuminato, apparir come scemo, è questo il segreto essenziale’. Lui ha detto subito: ‘Ma è una difesa’.
In tanti anni che lo leggo, io non c’ero arrivato”.
Il segreto di Giovanni (come del poeta che lo ritrae) è la capacità di osservazione, lo zoom sui dettagli, i suoi giudizi “sorprendono per la realtà e la sintesi”. Giovanni è un contemplativo che, talvolta, riesce a prendersi le sue rivincite:
“D’abitudine è intento a giocare a sudoku.
Nel cerchio dei platani di piazza Libia era passato una volta anche un campione di quel gioco, che aveva notato Giovanni e l’aveva invitato a fare una partita. Lui aveva accettato.
Me ne parlava un giorno che andavamo a prendere il caffè. Mi diceva: ‘Ma io non gioco per vincere, gioco per passione, mi diverto’.
E infatti, aveva vinto”.
Per la sua compattezza e la singolarità dell’ispirazione (“gli sconfitti”, la capacità di cogliere gli aspetti minimi e così decisivi delle nostre esistenze), Piazza Libia è uno dei più intensi libri di Giampiero Neri. Quasi un esame di coscienza. Forse un monito, per provare a ricominciare a rigenerare le relazioni sulle ceneri della pandemia.
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“Piazzale Libia” viene presentato al Piccolo museo della Poesia, Chiesa di san Cristoforo, Milano, sabato 26 giugno alle ore 18.
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