Arriva in libreria per Giunti Nero900, una nuova collana, diretta da Gianni Biondillo, dal sottotitolo eloquente: questi libri ripercorreranno “i casi più neri della nera italiana”. Del resto, il momento è quanto mai propizio: accanto alle ormai tradizionali legioni di estimatori di Franca Leosini (conduttrice di Un giorno in pretura e Storie maledette), ci sono decine di migliaia di appassionati dei podcast di true crime che non si perdono un aggiornamento delle riviste e trasmissioni incentrate sulla cronaca nera. La serie di Nero900, curata da una serie di scrittori emergenti della scena letteraria italiana coordinati da Gianni Biondillo (già creatore della serie di romanzi dedicata all’ispettore Ferraro), si propone di raccontare i casi che hanno fatto la storia della “nera” dello scorso secolo: ne risulterà una sinistra mappa d’Italia sui generis, che abbraccerà tutta la Penisola, dalle Dolomiti alla Pianura Padana, dalle metropoli ai paesini di campagna, dal “profondo Nord” all’assolato Mezzogiorno, da Milano a Roma.



Ed è proprio a Roma che è ambientato il primo volume della serie, dedicato da Alessandro Gorza a Il mostro di Roma. Il caso Girolimoni. 1924 (Giunti, 2024). Si tratta di un caso talmente celebre e paradigmatico da diventare persino proverbiale, insieme a quello oggetto dell’altro volume di debutto della serie, ovvero La saponificatrice di Correggio. Il caso Cianciulli. 1939, di Francesca Mogavero.



Trasferiamoci allora con la fantasia nella Roma del 1924, nelle viuzze ultrapopolari del centro attorno a San Pietro. È il 1924 e Via della Conciliazione è ancora di là dall’essere anche solo concepita. Sulle stradine umide e buie si affacciano povere case, dove brulicano famiglie semplici di operai e piccoli commercianti o artigiani che si conoscono tutte da sempre, e i cui bambini giocano abitualmente per strada. Ed ecco che, a un certo punto, alcune bambine iniziano a sparire: perse di vista dai genitori e dai fratellini mentre giocano a nascondino fra le colonne del Bernini, o mandate a fare una piccola commissione poco lontano e mai più tornate. E poi, il giorno dopo, vengono ritrovati i corpicini, orribilmente straziati. È chiaro: nei quartieri popolari si aggira un predatore, un mostro. Un essere che di umano ha solo le fattezze esteriori, e che le testimonianze, frammentarie e confuse, spesso contraddittorie, descrivono come distinto, vestito con un cappotto elegante e un cappello floscio: un lupo sotto mentite spoglie, capace di farsi seguire dalle sue piccole vittime attirandole con parole gentili e l’offerta di qualche dolce.



La paura, il terrore, la psicosi impazzano, comprensibilmente, e montano a lungo, sino a che una ragazzina mandata a servizio, come si suol dire, in una casa borghese, non riferisce, turbata, di un signore distinto, che alla guida di un’auto verde le ha spesso offerto un passaggio, e cercato di consegnare un bigliettino. La ragazzina, tredici anni appena, poco più di una bambina, ha avuto paura: si innesca così un meccanismo inesorabile che stritolerà Gino Girolimoni, uno scapolone gaudente che si è costruito una vita tranquilla e un certo benessere lavorando come procacciatore per un avvocato, e che ha due hobby: le avventure galanti e la fotografia. E nella perquisizione che verrà effettuata in uno dei suoi appartamenti si troveranno, giustappunto, scatti che ritraggono anche bambine: certo, esse sono presenti perché Girolimoni si diletta a fotografare angoli e scorci di Roma con la sua varia umanità. Ma nessuna delle giustificazioni addotte da Girolimoni vale a scagionarlo e per dieci lunghissimi mesi il disgraziato resterà in prigione, in isolamento, sino a quando non verrà rilasciato, senza nemmeno arrivare al processo, perché il suo avvocato e amico, nonché datore di lavoro, dimostrerà oltre ogni ragionevole dubbio che si è trattato di un gigantesco, terribile errore, e che Girolimoni non può essere in nessun modo il predatore di piccole vittime.

Ma il poveretto, dopo quell’esperienza, non si riprenderà più: la sua reputazione, infatti, sarà irreparabilmente distrutta, e per tutti il suo nome sarà sinonimo di mostro. Ma come può essere accaduto un così marchiano errore? E perché negare la riabilitazione a un innocente messo alla gogna, additato come mostro, sbattuto in prima pagina come predatore di bambine?

Per comprendere appieno il Caso Girolimoni, avverte Gorza, bisogna inquadrarlo nel clima politico e sociale dell’epoca: il consolidamento del Fascismo, il suo passaggio dalla fase parlamentare a quella autoritaria e totalitaria. Le prime aggressioni a bambine avvengono nella primavera del 1924, in coincidenza con le elezioni che porteranno il PNF alla nettissima maggioranza; il mese di giugno e la successiva estate saranno occupati dal Caso Matteotti; nel 1925, con il famoso discorso del 3 gennaio, Mussolini si assume tutta la responsabilità “politica, morale e storica” di quanto accaduto negli ultimi mesi, e, in particolare, del delitto Matteotti. Il fascismo diventa con questo snodo un regime autoritario, e poi, come sappiamo bene, totalitario: la libertà di stampa viene fortemente limitata; di fatto è l’Agenzia Stefani a detenere il monopolio delle notizie. E per differenziare l’Italia dalle decadenti democrazie borghesi d’Oltralpe e di Oltremanica, non bisogna dare rilievo alla cronaca nera, ai casi pruriginosi, o sanguinosi: ecco che le notizie scomode scompaiono dalla (poca) stampa che ancora esce dalle tipografie.

Non solo. Mussolini stesso preme perché il colpevole venga acciuffato al più presto: ne va dell’immagine della polizia e dello Stato stesso. Sapientemente Gorza racconta dunque il “caso Girolimoni” con una sorta di montaggio alternato: quel che accade nell’ambito delle indagini, e la grande storia, la storia che si studia sui libri. Girolimoni è il colpevole ideale, perché incarna l’esatto contrario dell’uomo fascista, dedito alla Patria, alla Famiglia, lavoratore indefesso e prolifico, amante dell’ordine, portavoce dei valori dell’Italia sobria, sana e trionfante sulle decadenti democrazie straniere. Per prima cosa, Girolimoni è figlio di NN, q non ha un lavoro decoroso e borghese, e, per giunta, è scapolo  – quando il Partito chiede invece agli italiani di essere padri di una famiglia regolare e numerosa, e per dissuaderli da condotte immorali introdurrà addirittura la tassa sul celibato. Quando poi diviene evidente che Girolimoni è innocente, la stampa, che aveva dato enorme rilievo al suo arresto, non pubblica se non poche righe, certo non in prima pagina; e non soltanto perché, come si suol dire, fa più rumore una pianta che cade di un bosco che cresce; ma perché ammettere un errore di tal fatta, gridandolo, per così dire, ai quattro venti, sarebbe uno smacco e un disonore per il nuovo regime.

Accanto alla vicenda di Girolimoni, Gorza ce ne illustra però un’altra: quella di Giuseppe Dosi, un poliziotto molto particolare, dal grande intuito e dalle capacità spiccatissime, con personalità e intelligenza sopra la media. Dosi sarà a lungo convinto non solo dell’innocenza di Girolimoni, ma anche di aver identificato il vero colpevole: il reverendo Ralph Lionel Brydges, un sacerdote anglicano spedito a Roma da New York dopo alcuni episodi incresciosi, e che anche in Italia si dimostrerà un molestatore incoercibile di bambine… sparendo a un certo punto nel nulla, dopo essere stato mandato a cambiare aria prima a Capri e poi addirittura in Sudafrica.

Anche la teoria di Dosi, però, per quanto seducente, sottolinea Gorza, ha delle falle: per prima cosa è puramente indiziaria, senza una prova determinante; e poi, come potrebbe un uomo che non parlava italiano interagire con le piccole vittime, con cui aveva scambiato brevi conversazioni offrendo loro dolci o un biglietto per il cinema? Dosi pagherà cara la sua ossessione, rovinando letteralmente la sua carriera e finendo addirittura in manicomio (per ironia della sorte, nella stessa struttura e settore dove, anni prima, fu internato Brydges); poi, però, con la fine della Seconda guerra mondiale, Dosi, almeno lui, avrà il suo riscatto: si rimetterà in carreggiata, diventerà addirittura questore e contribuirà, negli anni Cinquanta, alla nascita dell’Interpol, morendo, quasi novantenne, rispettato da tutti e dopo essere stato insignito anche della carica di Grand’Ufficiale della Repubblica.

Del Mostro di Roma, invece, nessuna traccia: volatilizzato nel nulla? O forse, come suggerisce Gorza, non c’era solo un assassino, ma più di uno, che agivano, indisturbati, nella miseria dei quartieri popolari? Molto probabilmente, non lo sapremo mai: l’ennesimo mistero sotto il sole di Roma.

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