“Quando tutto è finito, è il momento di ricominciare”. Rocco Buttiglione ha commentato con queste parole la lunga stagione di impegno che ha caratterizzato la biografia di Giuseppe Camadini, notaio bresciano scomparso nel 2012, uomo impegnato nelle vicende novecentesche del movimento cattolico e della Chiesa, di cui – dopo il convegno del giugno 2022 – si traccia un primo profilo storico nel volume Giuseppe Camadini (Studium, 2023). Ed è proprio presentando il volume, qualche giorno fa a Brescia, con Eliana Versace e Tiziano Torresi, che Buttiglione ha individuato il nocciolo costitutivo dell’impegno di Giuseppe Camadini: una solida e laica fede, un amore all’uomo e alla sua terra, una chiara lettura del proprio tempo con la profonda e fiera umiltà dell’uomo che sa di occupare un segmento finito della storia ma nutre la certezza di poterne affidare la continuazione ad anime nuove.



Così, occuparsi della storia di Giuseppe Camadini significa innanzitutto gettare uno sguardo sul Novecento, su quel secolo tragico che ha forgiato vite. Quel Novecento bresciano cattolico che, erede della stagione della Questione romana e dell’impegno dei credenti nella società in polemica con lo Stato, dopo l’esperienza di due guerre mondiali ha cercato di ricucire nei fatti quello strappo, con creatività, con impegno. Insieme, tale ricognizione, seppure embrionale, getta luce sulle diverse anime del panorama cattolico bresciano, sulle dinamiche relazionali, sulle dinamiche di rapporto tra laicato e Chiesa, sugli approdi concreti, verrebbe da dire “istituzionali”. Non certo per rintracciare vincitori e vinti, ma per comprendere fino in fondo senso e valore di un impegno.



Il volume contiene diversi autorevoli contributi di altrettanti storici: da Ernesto Galli della Loggia a Maria Bocci, da Paolo Corsini a mons. Angelo Maffeis, da Oliviero Franzoni a don Aldo Delaidelli, con un significativo intervento del card. Giovanni Battista Re.

La traiettoria esistenziale di Giuseppe Camadini è tracciata tra i due poli storici che hanno caratterizzato il percorso del nostro Paese dalla ricostruzione post-bellica alla dissoluzione dell’esperienza politica del cattolicesimo civile che tanta parte ha avuto nel rilancio sociale ed economico italiano, e da cattolico Camadini ha speso ogni energia possibile per mantenere viva l’anima cattolica di una comunità civile sempre più orientata, sotto le spinte del consumismo, ad una secolarizzazione radicale.



Quel che emerge dalle ancora troppo poche carte regestate e utilizzate per questo primo approccio storico alla figura di Giuseppe Camadini, è insomma un mondo, una rete di relazioni che costituiscono l’ordito di un’esistenza personale e pubblica totalmente “dedicata”, delicata e insieme assolutamente disincantata.

Terra e religione erano i capisaldi di tale respiro allungato. Ovvero: luogo e anima. Potremmo dire: luogo e sua anima. Essere di… significava – come avevano ben presente i nostri vecchi, a qualsiasi ceto appartenessero – aver chiara e naturale consapevolezza che non si può vivere se non ancorati ad un posto e che di quel posto è necessario e doveroso avere cura. L’impegno civile – per dirla sbrigativamente – nel solido realismo assai poco ideologico di quelle lontane generazioni, radicava proprio qui: nel prendersi a cuore, secondo le proprie possibilità, il bene e il bello del posto che albergava nell’anima.

L’altro polo dell’appartenenza attiene alla tradizione – per utilizzare una categoria storica – che, nel linguaggio di un vissuto appassionato, prende il nome di religione, fede, pietas, fino a toccare, talvolta, le vette della vera e propria spiritualità. Comunità civile e comunità religiosa insomma costituivano un tutt’uno, erano una vera e propria civitas che, accanto ad una liturgia del quotidiano, aveva sviluppato nel tempo un sistema di relazioni sociali che garantiva un sufficiente equilibrio sociale, messo in crisi dalle nuove regole del mercato e del profitto.

Resta, con tutto il peso delle responsabilità che essa comporta, la questione iniziale posta da Buttiglione, che muove dalla consapevolezza che un mondo è finito: è pensabile che ogni possibile idea ricostruttiva di una società in declino possa essere priva dell’apporto dei cattolici?

Tra le tante riflessioni camadiniane degli ultimi anni, quella relativa al rapporto tra cristianesimo e democrazia aveva assunto una certa importanza. ma ancora più significativa era la preoccupazione che quel termine, cattolico, potesse cadere in disuso, caratterizzato da un’intrinseca antipatia. Termine superato? – si chiedeva –, termine divisivo? Termine ormai accompagnato da troppi attributi al punto da perdere ogni pregnanza storica? Forse, per rispondere alle sollecitazioni dell’inizio, varrebbe la pena di ripartire proprio da qui, da quella parola – cattolico – che perfino la Chiesa talvolta fatica a pronunciare.

Certamente è necessario riprendere il corso delle cose facendo tesoro della certezza che in Camadini radicava nella fede e che fecondava ogni sua azione, ogni istituzione. Ed è proprio a partire da questo “altro” così intimo, apparentemente al di sopra della Storia, che fine e inizio possono trovare, generazione dopo generazione, il loro solido significato, allacciandosi come anelli di una lunga catena. Per ricominciare. Appunto.

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