C’è una comunicazione feconda che ci unisce ai Padri della Chiesa, alle personalità che nei primi secoli cristiani hanno annunciato l’evento di Cristo e che, anche ora, ci rendono certi della Presenza. Don Luigi  Giussani è consapevole che la trasmissione della fede avviene tramite le testimonianze di uomini in una corrispondenza che dai primi discepoli arriva a ciascuno di noi, individualmente, nel  tempo, senza interruzioni: “La certezza della mia fede nasce da ieri, dall’altro ieri, da san Gregorio Magno millecinquecento anni fa, nasce da sant’Ireneo milleottocento anni fa, nasce da san Policarpo, millenovecento anni fa, nasce da san Giovanni, nasce da sant’Andrea, nasce da Simon Pietro” (L. Giussani, Si può vivere così, p.181).



Persone che hanno dato la vita per Cristo, alcune anche attraverso il martirio, che in un contesto non favorevole lo hanno annunciato senza timore, e hanno usato “criticamente” la cultura e la lingua proprie del mondo in cui vivevano, operando nella carità e rivelando una consapevolezza esperienziale in grado di provocarci ancora oggi alla conversione. Giussani non si è dedicato in particolare a studi patristici né ha fatto indagini filologiche dei testi, ma ha saputo cogliere, dalla formazione avuta a Venegono e da letture dei Padri che erano talora il frutto di indicazioni che gli venivano da fonti diverse, gli elementi focali presenti nella trasmissione della rivelazione ad opera dei Padri, ne ha compreso i contenuti  nell’ottica specifica del singolo autore e li ha riproposti non in modo teorico, come un allievo, ma condividendone il messaggio esistenziale, come un figlio.



Nel volume Giussani e i Padri della Chiesa. Una tradizione vivente, curato da Pierluigi Banna, con prefazione del cardinale Angelo Scola, per i tipi di Marcianum Press (2023), studiosi di storia, letteratura, filosofia e teologia dei primi secoli cristiani, appartenenti all’Associazione Patres, hanno analizzato la modalità dell’incontro di Giussani con alcune delle più importanti figure della patristica, inquadrando in un agile profilo biografico i testi più amati da Giussani e fornendo gli elementi di conoscenza necessari per apprezzare il valore della sua interpretazione che li rende così attuali, come frutto di una tradizione vivente.



Cogliendoli come espressioni significative di contenuti che lui stesso non sarebbe stato in grado di pronunciare con la stessa intensità, come ammette in modo esplicito (p. 61), Giussani si stupisce della coscienza emergente in alcuni testi dei Padri e, con entusiasmo, più volte ne fa oggetto di riflessioni relative alla vita di fede di oggi. E quindi la comunione ecclesiale come presenza di Dio nella storia, la dinamica della ragione implicata nell’adesione alla fede, la relazione con Dio come fondamento antropologico, la conoscenza nell’amore, dati basilari della teologia di Giussani, ritrovano le loro origini e assumono ancor più spessore teologico in ambito patristico.

Per limitarsi solo ad un paio di esempi, all’espressione di Ireneo (vissuto nel II sec. d.C.): “La gloria di Dio è l’uomo vivente” (Contro le eresie, 4,20,7), Giussani, in occasione degli esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e liberazione del 2002, annota: “La gloria di Dio, la grandezza di Colui che fa le stelle del cielo, che mette nel mare goccia a goccia tutto l’azzurro che lo definisce, è l’uomo che vive. Non c’è nulla che possa sospendere quell’impeto immediato di amore, di attaccamento, di stima, di speranza. Perché è diventato speranza per ognuno che Lo ha visto, che ha sentito: ‘Donna, non piangere!’. Non c’è nulla che possa fermare la sicurezza di un destino misterioso e buono” (pp. 74-75).

La grandezza dell’uomo, sia in particolare nella sofferenza, sia nella gioia, è quindi straordinaria perché la consistenza, l’intensità della vita di ognuno coincide con la gloria di Dio, manifesta il Signore.

Un altro passo in cui la presenza di Cristo è concepita come determinante per la coscienza dell’io è il testo di una poesia di Gregorio di Nazianzo (vissuto nel IV sec. d.C.) su cui Giussani ritorna più volte, concependone in modo entusiastico la densità tematica. Proposto negli esercizi spirituali della Fraternità di Cl del 1984, diventa il contenuto di un “Volantone”, un manifesto da utilizzare come proposta di riflessione e di confronto esperienziale: “Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sentirei creatura finita. Sono nato e mi sento dissolvere. Mangio, dormo, riposo e cammino, mi ammalo e guarisco, mi assalgono senza numero brame e tormenti, godo del sole e di quanto la terra fruttifica. Poi io muoio e la carne diventa polvere, come quella degli animali che non hanno peccati. Ma io cosa ho più di loro? Nulla se non Dio. Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita”. La traduzione, per quanto piuttosto libera (pp. 91-97), rende in modo rilevante il focus del testo di Gregorio in cui Giussani comprende l’affermazione della coscienza della relazione costitutiva dell’uomo in Cristo.

In conclusione, il libro, accessibile al lettore non specialista, offre la possibilità di approfondire nel carisma di don Giussani la ricchezza e la fecondità della tradizione ecclesiale.

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