Recentemente ho partecipato a un viaggio organizzato in Giappone, letteralmente trascinatovi dall’esperienza della mostra Takashi Paolo Nagai. Annuncio da Nagasaki, realizzata dal Comitato Amici di Takashi e Midori Nagai per la XL edizione del Meeting di Rimini e allestita a Lugano dal Centro culturale della Svizzera italiana.



Nagai, un uomo, un giapponese dei nostri tempi, nato e cresciuto nella millenaria tradizione scintoista e buddista, medico, divenuto – per sua ammissione – schiavo del naturalismo scientista, ha avuto il coraggio di riaprire quella domanda che da sempre tutti gli uomini si pongono: c’è qualcosa che può salvare l’io, che risponde all’infinito bisogno dell’uomo di essere riconosciuto nella sua soggettività? Conoscerà Midori, discendente dei cristiani nascosti e perseguitati fino al martirio tra Seicento e fine Ottocento, che sarà la compagna del suo cammino. Con lei nascerà a una nuova vita in cui nulla della sua umanità e della sua cultura andrà perso. Potremmo dire che quanto più diventa cristiano, tanto più diventa giapponese.



La domanda di Nagai è la nostra. Essa si pone in un contesto culturale completamente diverso rispetto al nostro e perciò, proprio per questo, può aiutarci a capirne la portata per noi oggi, uomini dell’Occidente; a capire chi siamo e a renderci conto della nostra tradizione culturale.

Il Giappone non ha risentito della tradizione ellenistica, giudaica e cristiana se non sporadicamente. Ce ne rendiamo conto anche solo considerando il significato di alcune parole, come io e natura. Il concetto di dio poi è assente nella religiosità nipponica, tanto che quella giapponese è stata definita una religione atea, senza Dio. È la natura che è divina e si autogenera.



Le origini della religiosità giapponese si rifanno allo shintoismo e al buddismo (suddiviso in molte scuole), oltre che all’etica del confucianesimo. I buddisti-shintoisti credono che per raggiungere la vera libertà spirituale (semplificando, il Nirvana, attraverso infiniti passaggi) ci si debba liberare dai desideri dell’io, addirittura dalla speranza, annullando la propria identità. Per l’Occidente l’avvicinamento alla divinità passa, al contrario, dalla perfezione dell’io. Come spiega in una conferenza del 2010 l’ambasciatore giapponese presso la Santa Sede, “i monoteisti tendono a ingigantire se non a rendere perfetto l’ego”, mentre – continua l’ambasciatore – “i buddhisti-shintoisti, per raggiungere la Realtà Ultima puntano a minimizzare, ad azzerare l’ego”. Proviamo a immaginare l’io come pura illusione, immaginiamo una religiosità in cui siano banditi il pensiero logico, in cui molti è uno e uno è molti. Persino i valori di bene e male vanno trascesi per guardare alla realtà ultima che è vuoto o nulla. In questa cultura il Mistero è tutto, è armonia totale, unità tra tutte le cose, ma senza l’io.

Noi visitatori occidentali abbiamo la percezione di questo mondo immergendoci nella bellezza dei giardini buddisti, nella sobrietà povera dei templi antichi, nella cucina giapponese in cui i sapori della nostra tradizione sorprendentemente si fondono generando gusti indefinibili. Ce ne accorgiamo nelle pratiche di rispetto reciproco, nei molteplici inchini di accoglienza e di saluto che non possono essere banalmente spiegati come formalità. Le persone che abbiamo incontrato nel nostro viaggio ci dicono che anche in Giappone la religiosità si è molto indebolita, ma l’orizzonte mentale rimane segnato dal mistero insondabile e sconosciuto che abbraccia e unisce. La nostra guida giapponese, una donna di una sensibilità, intelligenza e delicatezza fuori dal comune che, come la gran parte dei giapponesi, vive una memoria del disastro atomico e una preoccupazione per la pace che noi abbiamo dimenticato, ci scrive: “il buddismo insegna che tutti i nemici e gli alleati sono uniti allo stesso modo, senza distinzioni e vivono in paradiso. Penso che il dott. Nagai abbia voluto dire la stessa cosa”.

Nagai ha vissuto una profonda religiosità. Fin da giovane ha un grande desiderio di dare la sua vita per un bene più grande della vita stessa, un bene che, tuttavia, non neghi il desiderio, che non neghi la realtà e non la releghi a pura illusione: un bene che non sia vuoto o nulla (il Mu del buddismo zen). Cerca la verità che salvi la sua passione per la scienza – a quell’epoca, lui brillante studente di medicina e poi scienziato – e risponda al suo desiderio di ciò che non muore mai.

La tradizione giapponese, in cui Takashi Nagai vive, ci pone di fronte a una prospettiva sulla realtà che in Occidente stiamo dimenticando: soffriamo, ma abbiamo perso le radici di questa sofferenza e scivoliamo in un nichilismo distratto che non interroga più l’eterno. Per affermare l’inviolabilità dell’io, la sua libertà assoluta, abbiamo sacrificato l’altro, il tu, l’infinito. Per esaltare noi stessi prendiamo dell’altro solo quello che ci interessa. All’opposto, la religiosità giapponese sacrifica il desiderio umano, schiacciato da una realtà illusoria, effimera, per rivolgersi a un tutto che assorba nel nulla ogni individualità, che persegua il distacco completo da ogni cosa, da ciò che muore. La realtà suscita una promessa che non sa mantenere; le cose alimentano un desiderio di bene che però non sanno soddisfare. Questa è una verità incancellabile per me e per un giapponese e per ogni uomo di sempre.

In modo sorprendente Luigi Giussani aveva colto la sfida che la tradizione giapponese riproponeva a ogni uomo e perciò anche all’Occidente. In una conferenza, nel suo viaggio in Giappone, esaltò la sensibilità giapponese nel riconoscere l’armonia totale, l’unità di tutte le cose. Ma poi aggiunge: questa armonia grande e totale “è come se avesse un senso misterioso per la mia vita […]. La tradizione spirituale in cui io sono cresciuto mi ha detto che questa armonia grande e misteriosa ha una voce. Questo è il punto più importante del pensare umano”. E concluse: “Mi perdonino, ma quella voce dell’universo, della realtà tutta di cui ho detto che appare e si fa sentire nel cuore dell’uomo, nella mia tradizione, cioè dal mio passato, mi ha raggiunto la notizia che si è fatta un uomo, così che c’è questa Presenza che è compagnia del cuore. Che la totalità, il mistero della totalità sia diventato uno come me e mi accompagni e il cuore si appoggi, debbo ammettere, debbo riconoscere che è una cosa commovente e grande”.

Senza questa ipotesi, senza l’ipotesi cristiana, la lontananza tra l’io e l’eterno, tra il desiderio infinito dell’uomo e la totalità rimane incolmabile. Il fatto cristiano, come spesso ha ripetuto Giussani, è l’accadere dell’infinito nel presente, senza negare nulla. Nel cristianesimo, Cristo è il mistero che è entrato nell’esperienza. Nella proposta cristiana l’io infinito e il cosmo infinito si incontrano.

Takashi Nagai è un uomo che ha vissuto senza rinunce la sua religiosità e ha incontrato il mistero, concretissimamente, attraverso Midori, la sua sposa. Anche l’Occidente ha conosciuto questa risposta. Il confronto con essa rappresenta per noi, come per ogni uomo, la rinnovata possibilità di conoscere chi siamo e di vivere la nostra cultura – citando ancora Giussani – come introduzione nella totalità del reale.

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