Una lettera inedita di Benedetto XVI pubblicata in appendice a un libro sulla vita extraterrestre non è cosa che passa inosservata; ancor più se il contenuto della lettera, sintetica ma essenziale e chiara come nello stile del Papa emerito, non rivela alcuna obiezione all’idea, sulla quale era stato esplicitamente interpellato, dell’esistenza di altre specie intelligenti nell’universo oltre a quella umana.
È solo l’ultima stoccata messa a segno da Paolo Musso, autore del libro La vita extraterrestre. Stato della ricerca, prospettive future e implicazioni culturali (Studium, 2021), che mantiene le promesse indicate nel sottotitolo e le arricchisce con le testimonianze dei protagonisti della ricerca di ET, molti dei quali conosciuti personalmente, e con i riferimenti alle fasi principali e ai momenti salienti del dibattito internazionale al quale ha direttamente partecipato. Musso infatti da oltre vent’anni si interessa attivamente del tema e fa parte del Seti Commettee – unico filosofo presente, sottolinea non senza soddisfazione – cioè del gruppo di studio permanente avviato negli anni 70 quando la ricerca della vita extraterrestre ha preso consistenza con una serie di iniziative sorte sotto la sigla Search for Extraterrestrial Intelligence, appunto il Seti.
Il libro ripercorre le vicende del programma Seti, dalle iniziali idee contenute nel celebre articolo del 1959 su Nature di Cocconi e Morrison che suggerivano di utilizzare i radiotelescopi cercando di intercettare qualche segnale alieno tra le onde elettromagnetiche nelle frequenze intorno ai 1420 MHz; alle prime pionieristiche osservazioni presso l’Osservatorio di Green Bank in West Virginia del mitico Frank Drake, riconosciuto padre del Seti, fondatore nel 1984 del Seti Institute. Era stato Drake a prendere la prima iniziativa attiva verso i fantomatici ET, spedendo nel 1974 dal radiotelescopio di Arecibo verso l’ammasso stellare di Ercole una serie di impulsi radio contenenti in codice informazioni sulla Terra che avrebbero potuto essere decifrate da un’ipotetica civiltà extraterrestre presente a 25mila anni luce da noi.
Allo stesso Drake si deve la proposta della celebre equazione che porta il suo nome e che permette di stimare il numero totale di civiltà comunicanti fra loro nella galassia: un’equazione che collega molti parametri dei quali non conosciamo il valore ma che consente di “organizzare la nostra ignoranza” sulle probabilità di esistenza della vita extraterrestre; ed è in tal senso che Musso la utilizza offrendoci una sorta di tutorial di 35 pagine per arrivare alla conclusione che il problema è tuttora aperto a qualsiasi soluzione.
In ogni caso, sembra proprio che dobbiamo metterci il cuore in pace circa l’eventualità di un incontro ravvicinato di qualche tipo: lo stesso Seti si basa infatti sul presupposto che i viaggi interstellari siano impossibili o comunque troppo difficili per qualsiasi civiltà avanzata e da tempo ormai anche i più convinti cacciatori di alieni hanno deciso di limitarsi ad ascoltare per rivelarne la presenza sintonizzandosi sulle loro emissioni radio.
Ma anche così le cose non sono tanto semplici. Fa riflettere il fatto che in 60 anni di attività il Seti non abbia mai trovato niente, se si escludono alcuni segnali sospetti ma ambigui; tanto che si parla del “mistero del Grande Silenzio dell’universo” e comunque di un’enorme difficoltà ad adeguare i nostri pur sofisticati strumenti alla particolare natura che dovrebbero avere i messaggi di ET. Lo stesso Musso sintetizza così il paradosso: “con la tecnologia che abbiamo a disposizione oggi siamo in grado di scoprire solo segnali che probabilmente non ci sono, mentre non siamo in grado di scoprire quelli che hanno le maggiori probabilità di esserci davvero”.
Non al punto però da scoraggiarci del tutto. Anche perché nei prossimi 20 anni gli scenari potrebbero cambiare molto con l’entrata in funzione del gigantesco telescopio chilometrico, lo Ska (Square Kilometer Array), che già si prevede possa essere utilizzato anche dal Seti per esplorare un volume di spazio un milione di volte maggiore dell’attuale. E se questo non bastasse, si potrà provare col telescopio lunare – il cui progetto è già stato proposto da Claudio Maccone, primo italiano a capo del Seti Committee – o con la missione Focal (sempre su progetto di Maccone) che potrebbe piazzare un telescopio nel fuoco della lente gravitazionale del Sole in un punto a mille volte la distanza Terra-Sole.
Restano aperti certamente molti problemi, anche in caso di successo dei nuovi programmi. Dopo un eventuale contatto (che sarebbe comunque a distanza), come comunicare? Con quale linguaggio e con quale dizionario? E cosa comunicare? Quali sarebbero poi le conseguenze, pratiche, culturali, religiose? Forse è presto per affrontare tali interrogativi. O forse no. Preparandoci fin d’ora alla comunicazione con civiltà aliene, osserva Musso, un risultato lo otterremmo già: “potrebbe insegnarci moltissimo su noi stessi, perfino se il contatto non dovesse verificarsi mai”; è lo stesso concetto affermato con convinzione dal grande astronomo Carl Sagan, autore del romanzo Contact che ha ispirato il celebre film: “Nel suo senso più profondo la ricerca di intelligenza extraterrestre è una ricerca di noi stessi”.
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