Bene ha fatto l’Associazione Russia Cristiana a mettere a tema di uno dei suoi viaggi la Grecia. Una delle radici dell’Europa si trova qui, nel punto storico dell’incontro tra la “saggezza greca e il paradosso cristiano”, secondo la bella sintesi offerta dal teologo belga Charles Moeller (1912-1986). La Grecia è il suo passato, la sua memoria, la sua storia ma è anche il luogo in cui sboccia la contemporaneità attraverso la forma dello Stato nazionale. È infatti tra le prime nazioni europee a proclamarsi indipendente nel 1822 e a ottenere poi di fatto l’indipendenza dall’impero ottomano nel 1832 per quanto riguarda un suo primo nucleo costituito dalla parte peninsulare e insulare a sud della Tessaglia.
Una indipendenza raggiunta faticosamente, alla quale collaborò la Chiesa ortodossa e che ha retto nel tempo superando tante prove: guerre civili, crisi economiche, ampliamenti e occupazioni del suo territorio. Uscita quasi distrutta dalla Seconda guerra mondiale, si è risollevata. Uscita quasi del tutto rovinata economicamente dalla grave contingenza economica del 2008-2013, si sta risollevando di nuovo, anche se non tutti i greci condividono il piano di privatizzazioni dell’attuale governo che sta attirando in Grecia investitori di ogni genere (europei, bulgari, cinesi) ma che assomiglia a una svendita. La storia comunque non è solo una faccenda che riguarda la dissepoltura del passato a scopo archeologico (e il paese del sirtaki e del rebetiko brilla per abbondanza di importanti siti archeologici).
Meglio evidenziare, della storia, la dimensione della “memoria storica”, consistente nella selezione di quelle memorie che ci servono per capire il presente e progettare il futuro. Se la storia è volta solamente a guardare indietro, come fece Orfeo temendo che nella risalita dagli inferi la bella Euridice non lo seguisse, si perde la cognizione del tempo che si sviluppa manifestandosi nelle varie circostanze. La memoria storica è perciò diversa dal mito e dalla concezione del tempo che scorre e si ripete sempre uguale a sé stesso.
Il mito greco è tuttavia anche una forma di sapere che cerca di scrutare il fondo oscuro delle cose e contiene aspetti rivelativi del mistero. Il cielo, il sole, il mare, l’amicizia, la guerra diventano divinità personificate alle quali è possibile rivolgersi stabilendo però rapporti a senso unico. A Delfi l’oracolo quando è consultato non fa che replicare enigmi incomprensibili, per cui il soggetto o la comunità interrogante è sempre dalla parte del torto. Lo si capisce molto bene prestando attenzione alla logica del sacrificio, cui ogni mito arcaico è sempre collegato in maniera rituale. Al dio occorre sacrificare qualcosa ma non sempre il dio risponde. Per questo motivo, dice sempre Moeller, “se il cielo antico è greve e carico di maledizione, gonfio di lacrime e di tristezze, gli uomini, per sé stessi, sono nobili e retti: si sforzano, in questo oscuro caos, di far regnare un poco di bellezza e di grandezza attraverso l’eroismo e la gloria”.
Il pantheon greco è impressionante, ricco e molteplice. Come quello romano, d’altra parte, in qualche maniera speculare rispetto a quello greco. La Grecia è superiore a Roma nella tessitura letteraria del mito, ma non le basta tale supremazia per guadagnarsi la salvezza. Roma è superiore ad Atene in quanto potenza militare. Roma pone fine alla libertà della Grecia nel 146 d.C. Visitando i luoghi della Grecia arcaica e classica si fa esperienza del senso di tragicità che incombe sull’uomo greco e della sua ricerca della verità attraverso il culto dell’armonia e della bellezza. La verità sussiste nella perfezione delle forme dei corpi e delle strutture architettoniche, per la quale si sacrificano ben più che ecatombi di buoi: si sacrificano alleanze, rapporti diplomatici, assetti politici.
L’età di Pericle (fine del V secolo a.C.) è il vertice della mescolanza di grandezza artistica e amoralità politica: per costruire il Partenone Pericle si serve del tesoro della Lega delio-attica di cui Atene dovrebbe essere garante e custode. Niente più tiene e Atene precipita nella guerra civile. Aveva tuttavia cercato un’altra strada di uscita dalla tragicità incombente della vita, la strada della filosofia, la universalizzazione del discorso (logos) che anziché puntare sulla soggettività del mito, si orienta a far parlare le cose, ad ascoltarne l’intrinseca ragionevolezza. L’arte statuaria greca, contemplata al Museo Nazionale di Atene, anche a questo riguardo manifesta un fremito di insoddisfazione, i volti si fanno cupi, i sorrisi scompaiono dalle figure scolpite che nell’approssimarsi all’età alessandrina diventano enormi, quasi a compensare con il volume l’insufficienza di una risposta alla domanda sul dolore, sulla morte, sull’esistenza nel contesto di un mondo già globalizzato.
Un’altra forma di sapienza (sofia) è stata tuttavia proposta all’uomo greco. Egli ha ascoltato Paolo di Tarso che all’Areopago di Atene ha innalzato la Grecia a simbolo dell’incontro tra il Dio incarnato e il desiderio di assoluto che sprona l’uomo a cercare una vita felice, giusta e bella. La verità, propone l’apostolo dei Gentili, è “un uomo che Egli [Dio] ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti” (Atti, 17, 31). È Cristo incarnato, morto e risorto. Al sentire parlare di resurrezione molti se ne andarono ma alcuni cominciano a seguirlo, tra cui Dionigi l’Areopagita, al quale è dedicato un ampio viale alle pendici dell’antico tribunale. Nelle vene della cultura greca, ma potremmo dire di ogni tempo e latitudine, è innestata una linfa nuova.
È una saggezza, una Sofia, donata all’uomo dal Cristo Pantocratore che si impone nelle chiese e nei monasteri bizantini di ogni località greca dalle più accessibili, come la splendida Tessalonica (Salonicco), alle più inaccessibili come le Meteore, aggrappate al cielo. La Sofia nuova non è un discorso sull’uomo, ma una esperienza che attraversa la vita di ogni essere umano che può guardare in faccia la morte sapendo che questo pungiglione non rappresenta l’ultima parola (ecco che nell’arte funeraria ai corredi materiali subentrano i simboli cristiani). E la Madonna accompagna questo cammino, sia che si tratti di immagini dell’Achiropita (non fatta da mano d’uomo), sia dell’Odigitria (che mostra la direzione, indicando il Figlio). Il cristianesimo non ha distrutto il mito come pretendeva di fare la filosofia, lo ha accolto, purificato nella sua domanda di verità, cui ha offerto una risposta nel Verbo Incarnato che subisce umiliazioni, muore e risorge.
La Grecia ha incontrato il cristianesimo e si è fatta alveo di una cultura che ha resistito all’onda d’urto musulmana fino alla metà del XV secolo. Le chiese trasformate in moschee sono state spesso scalpellate e saccheggiate (impressionanti gli sfregi del monastero Vlatadon di Tessalonica: d’altra parte Napoleone, francesi e tedeschi non hanno fatto di meglio), ma hanno resistito nel tempo e sono ancora oggi testimonianza di una possibilità che il viaggio nel cuore della memoria storica greca, classico-bizantina, rende manifesta e vivibile. Lo spazio cristiano greco-bizantino, nella versione ortodossa, ha per secoli fatto da argine all’ondata musulmana che nel 1453 ha travolto Costantinopoli. Oggi, tuttavia, si presta ad un altro messaggio. Uscire dal mito e ritrovare uno sguardo attento alla realtà non significa uscire nello spazio autoreferenziale della filosofia ma in quello più realistico e libero del desiderio di compimento.
Il mito deve essere giudicato in quanto tensione a uno scopo che si realizza nello spazio culturale e politico dell’uomo che accoglie in sé una struttura umana che non è la sua, ma gli è data. Quanti miti attuali, in questo senso, meriterebbero di essere giudicati e ricondotti a una radice che nell’enfasi ideologica rischia di essere perduta! Il mito della prestazione individuale dietro al quale si nasconde la domanda di identità personale. Il mito dell’ecologismo dietro al quale si nascondono interessi economici ma anche la domanda di cura del creato. Il mito della nazione eletta dietro al quale si nasconde la domanda di comprensione di un destino storico di popolo e di comunità, inseparabile dalla lettura del contesto di altri popoli e altre nazioni. E chissà che nell’attuale circostanza di una Europa che si appresta a rinnovare le proprie istituzioni comunitarie, la Grecia non torni ad avere una parte significativa, non fosse altro che per rilanciare la sua vocazione di sintesi tra Oriente e Occidente.
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