Esistono ancora persone che hanno a cuore l’impossibile: David Grossman è una di queste. Un uomo provato dalla vita che conserva un cuore da bambino. E cerca, nonostante tutto, qualcosa che sfugge e sembra oggi inarrivabile: la pace. Guarda, perciò, la realtà con uno sguardo diverso anche quando tutto crolla. Non resta chiuso in una cinica autodifesa, ma si apre all’alterità di una vita diversa. Nel suo libro La pace è l’unica strada (Mondadori, 2024) parla della piccola epifania vissuta a otto anni. Mentre ascoltava la radio, un intervistatore chiese ad Arthur Rubinstein: “Signor Rubinstein, in questo giorno di festa, il suo settantacinquesimo compleanno, potrebbe riassumere la sua vita in una frase?”. Il celebre pianista rispose: “L’arte mi ha reso un uomo felice. Grazie a essa ho conosciuto la felicità”.



Felicità: quella parola differente da ogni altra scava ancora oggi nel cuore pensante dello scrittore. Si impone in Grossman, infatti, come ricerca della profondità di sé e della vita. La felicità che colpisce al cuore, tuttavia, non è una beatitudine ritirata dal mondo o un piacere raggiunto a buon mercato, ma una salita che implica un attraversamento del dolore e un giudizio.



Lo scrittore ci accompagna, perciò, nel suo percorso fatto di drammatica partecipazione alla vita del popolo. Egli critica con coraggio, da laico e umanista, le scelte di Netanyahu che hanno alterato il Dna del paese. L’idea stessa di una riforma giudiziaria ha aperto il campo a una svolta non condivisibile e divisiva. Prima del terribile e disumano pogrom contro i civili fatto da Hamas, era emersa tutta la fragilità di un paese fortemente spaccato. Alcuni gruppi erano arrivati al punto di pensare a una divisione tra l’Israele conosciuto e la Giudea dei tempi biblici. La separazione tra coloni che si sono appropriati delle terre occupate in Cisgiordania e chi, invece, vede i coloni come un ostacolo alla pace. E ancora ebrei ultra-ortodossi contrari al servizio militare e laici, i cui figli vengono mandati a combattere. Insomma, delle rotture profonde nello stesso corpo dello Stato. Poi il sabato nero, il 7 ottobre, con la scoperta dell’abisso del male. La violenza feroce e inenarrabile di Hamas contro gli innocenti e gli indifesi. Tanti volti cancellati, tante storie distrutte, troppi dolori insopportabili. Ustioni sull’anima provocate con voluta cattiveria morale.



Ognuno dei volti delle vittime, per Grossman, deve restare impresso nella memoria del popolo. Ogni singolo, unico e irripetibile, è da ricordare “Perché con ciascuno di loro si è perso un mondo intero, e si potrebbe dire ‘un’intera cultura’, personale e privata”.

Nella poesia Il massacro Haim Nachman Bialik ha espresso tutta la portata dello shock esistenziale di fronte a un male così tremendo: “E dove troveremo la forza di rialzarci, di costruire case, di arare campi, di mettere al mondo figli in un mondo come questo?”.

L’urto dell’abisso del male, dunque, fa vacillare l’immagine che si può avere della felicità. Il veleno dell’orrore si insinua dentro il cuore. Ma c’è un metodo per cercare di attraversare il guado nell’ora in cui sembra prevalere la tenebra?

Nel testo di Grossman scopriamo l’espressione Tikkun Olam, un concetto ebraico vecchio di oltre duemila anni. La traduzione è: “Riparare un mondo diviso”. Nell’identità ebraica è inscritto un destino che va oltre l’ustione: l’aspirazione e l’impegno a fare il bene: “a provare un senso di responsabilità morale verso chiunque, ebrei e non ebrei, verso un ideale di giustizia sociale e di qualità dell’ambiente”. Tikkun Olam è, dunque, una forza che viene dal mistero dell’essere. Ma c’è bisogno di testimoni che richiamino a tutti il misterioso destino di un popolo.

Nel discorso tenuto ad Amsterdam il 29 ottobre 2022, durante la consegna del premio Erasmus, Grossman, perciò, ricorda Etty Hillesum. Etty, ebrea vissuta ad Amsterdam, di sua spontanea volontà andò nel campo di Westerbok. Non abbandonò il suo popolo, pur potendo salvarsi. Il mostro nazista la uccise poi, in modo terribile, ad Auschwitz. Ma qual era la sua attività più profonda? Nei suoi Diari 1941-43 vediamo all’opera una misteriosa energia vivente. La sua anima, infatti, era sempre in movimento “contro la forza di gravità della disperazione”. Nel suo profondo era presente un respiro più grande “L’assenza di odio non significa di per sé assenza di un elementare sdegno morale. So che chi odia ha fondati motivi per farlo. Ma perché dovremmo sempre scegliere la strada più corta e a buon mercato?”.

Un cuore diverso da tutti gli altri, insomma: un cuore pensante. E chi ha un cuore pensante oggi, come Hillesum, non può partire dal conflitto, ma da uno sguardo. Lo sguardo dei bambini innocenti, oggi in particolare, è un giudizio: del vero sul falso. Grossman scrive: “Un’intera generazione di bambini, a Gaza ed Ashkelon, presumibilmente crescerà con il trauma dei missili, dei bombardamenti o delle sirene. A voi bambini, nelle cui coscienze questo conflitto ha inciso davvero, io sento il bisogno di chiedere scusa, perché non siamo stati capaci di creare per voi la realtà migliore e più sana a cui ogni bambino di questo mondo ha diritto”. Oltre allo sguardo, c’è un fatto ulteriore che tutti censurano (politici, giornalisti, militari), cioè la scossa esistenziale prodotta dalla guerra: “A Gaza i bambini tremano di paura”.

Il tremore dei bambini, oggi, è un grido che interpella le coscienze fino in fondo, chiedendo un cambiamento di rotta. Di fronte a un colpo al cuore di tale natura la politica non ha più alibi. Il tremito dei deboli, infatti, inquieta e sovverte i calcoli degli strateghi e dei portatori di morte.

La sofferenza dell’innocente, perciò, è l’unica strada per arrivare alla pace. Non una mediazione, dunque, o un compromesso o una tregua, ma un fatto inaccettabile, in grado di sconvolgere le ideologie di ogni tempo e luogo.

 

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