Lager di Beniaminowo. Il tenente Giovannino Guareschi, sentendo avvicinarsi il Natale, decide che si debba fare il presepio. Coinvolge così i compagni di prigionia, nell’opera di costruzione:

“Il capitano Novello dipinse e ritagliò sul cartone un grande Presepe con angeli e campane e, sullo sfondo, un paesaggio delle nostre terre e, fra i pastori adoranti, un gruppo di internati. Quando, dopo tanto tempo, rivedemmo le nostre valli e ci lasciammo, ci dividemmo in cinque i pezzi del Presepe: a Novello lo sfondo, a Rebora il gruppo degli internati, a Malarini la schiera dei pastori, a Malavasi il tetto della capanna con gli angeli e le campane, a me il gruppo col Bambinello e il resto della capanna. Ogni anno, all’Epifania, ci saremmo radunati in una località stabilita di volta in volta, e ognuno avrebbe portato il suo pezzo, e il Presepe sarebbe stato ricomposto (Novello ritenne l’idea troppo romantica e il progetto non ebbe seguito). Ma, il primo anno, al Presepe mancò il tetto con le sovrastrutture degli angeli e delle campane: e al posto del tetto e degli angeli mettemmo il telegramma di Malavasi. Il secondo anno mancò al Bambinello, oltre il riparo del tetto (e stavolta non arrivò neppure il telegramma) l’omaggio terreno dei pastori. Malarini era in viaggio di nozze e il Bambinello, invece di pecorelle, dovette accontentarsi di pochi candidi confetti. Il terzo anno il gruppo degli internati disertò. Né ritornò il tetto, né si fecero vivi i pastori: il poeta Rebora (Roberto), abbandonato l’Ermetismo, aveva composto versi per il Cordial Campari, quindi, datosi alla regia cinematografica s’era stabilito a Roma e fabbricava film a grande successo sfruttando il vecchio Macario il quale piacerà sempre al nostro pubblico. L’anno seguente il paesaggio dello sfondo si trasferì in Africa assieme al titolare Novello; i vecchi, consunti colori dell’Europa oramai non bastavano più al nostro pittore, e soltanto poteva attirarlo il fascino dei colori impossibili di quelle straordinarie terre. Il vecchio Presepe di Beniaminowo rinasce ancora ogni anno, e il Bambinello dalla sua squallida capanna scoperchiata priva di angeli e di campane e senza più il panorama del bel tempo che fu, invano cerca davanti a se le antiche schiere di adoranti”.



Se, così, il presepe “a dieci mani” fu destinato a non più ricomporsi, diverso destino toccò al piccolo, primo presepio realizzato da Giovannino Guareschi nel 1943: “Ho trentacinque anni, mi ricordo che un giorno ne ho avuti otto e, rimboccati i baffi, mi costruisco un piccolo Presepe di cartone. Lo faccio smontabile: non si sa mai”.



Così scriveva Giovannino del suo piccolo presepio del Lager: un presepe che porterà con sé, appunto perché smontabile, durante gli oltre due anni di prigionia in quelli che chiamava “gli alberghi del signor Hitler”. Nove anni dopo la liberazione Guareschi sarà carcerato per 405 giorni a Parma, condannato per diffamazione nei confronti di Alcide De Gasperi. Rifiutato l’appello, Giovannino, preceduto dal motto “per rimanere liberi, bisogna a un certo punto, prendere la via della prigione”, riprenderà la sacca di “Kriegsgefangene” e si presenterà ai cancelli del carcere ricavato, al tempo delle soppressioni napoleoniche, dalla chiesa e dal convento di San Francesco del Prato. Con sé, oltre le poche cose permesse dall’amministrazione carceraria, porta anche il presepio del Lager.



Oggi, a 77 anni dalla sua realizzazione e a 66 dal Natale trascorso in prigione da Guareschi, il piccolo presepio di cartone (l’originale è conservato nell’archivio di Roncole Verdi), riprodotto fedelmente da Andrea Begani di Areaitalia è tornato a Parma, proprio fra le mura della chiesa di San Francesco del Prato, che è un grandioso, immenso cantiere, per il recupero e la restituzione alla città di uno dei suoi monumenti più preziosi e tristi allo stesso tempo. Collocata accanto al presepio “ufficiale”, la piccola natività smontabile dello scrittore può essere visitata ogni weekend fino al 13 gennaio 2020: la si raggiunge entrando dalla porta laterale sulla facciata, seguendo un percorso semicircolare, delimitato da pannelli con frasi di Papa Francesco e di San Giovanni Paolo II.

Sono invece proprio del creatore di don Camillo e Peppone i testi che accompagnano il presepio del Lager sul cui sfondo si vede la scuola di Marore, vicino Parma, dove abitavano i genitori di Giovannino e dove era sfollata anche la famiglia da Milano dopo i bombardamenti alleati. Così, la bella chiesa romanica, utilizzata per oltre 150 anni come prigione, torna a vivere oggi, accogliendo un presepio legato al nome di un suo illustre carcerato.