Si è parlato tanto, in tempi recenti, del ministero della Cultura, per motivi che hanno a che fare con tutto tranne che con la cultura. Sarebbe bello che davvero si parlasse di cultura, ma basta vedere che dai giornali ormai da anni è scomparsa la terza pagina (per i giovani era quella dedicata ai grandi autori) o i programmi tv sono misurati quasi tutti su un livello di “comune accessibilità”, cioè quello di chi torna la sera stanco a casa, si mette sul divano e guarda la prima cosa che capita. E la cultura viene emarginata a questioni personali, di scandali, di budget.
Sarà bene ridirselo allora cosa è la cultura. Perché: no, la cultura non è nozionismo, e no, la cultura non è fare la maratona nelle mostre di quadri o di discutibili istallazioni. Eppure è di questo che si parla quando si accenna consuetudinariamente alla cultura: qualcosa con cui attirare pubblico e fare soldi, facendo credere alla gente di aver visto davvero quello che in realtà hanno appena intravisto, aver ammirato davvero qualcosa che dicono di ammirare perché “fa moda”, di aver capito davvero, mentre il succo della cultura non è “capire” (cioè introdurre dentro di sé), ma entrare nell’opera, fare un passo verso il bello, farsi prendere dall’opera.
E la cultura non è quella di cui parla la maggior parte dei politici.
La cultura è quel punto dove batte la nostra mente. Per capire la cultura che davvero viviamo, che davvero respiriamo, che mascheriamo dandoci un tono entrando in una mostra o leggendo un libro, occorre riandare a quanto profetizzava Günther Anders, allievo di Heidegger settant’anni fa. La nostra mentalità è una brama di tecnologia, è serva della tecnologia. Perché la tecnologia ti sostituisce nel pensare, e pensare è tanto faticoso! Abbiamo perso la capacità di costruire, desiderare, essere fedeli facciamo tutte piccole cose, piccoli desideri, piccoli inganni, e lasciamo fare tutto alla tecnologia. Che è l’unica cosa paradossalmente democratica: poveri e ricchi la bramano con lo stesso vigore, anche se con differenti portafogli. Anders parlava di “invidia prometeica”, cioè diceva che un tempo Prometeo aveva rubato la tecnica (il fuoco) agli dei per portarlo agli uomini per renderli simili agli dei, avere potere; oggi gli uomini ricercano il potere per potersi giovare della tecnica. Perché la tecnica ti rende “sereno”, fa tutto lei, è fredda, ti toglie responsabilità, trasforma tutto in protocolli e dà a qualcun altro le colpe.
TI toglie la libertà di riconoscere il bello e di soffermarti a sognare. Le meraviglie che istoriano i nostri musei sono il lascito di una cultura passata, di tante culture passate, in cui si aspirava a grandi ideali (alcuni dei quali oggi discutibili); oggi la cultura è sfruttare questo lascito per fare turismo, per attrarre globetrotters che possano dire “io sono passato davanti alla Gioconda!”. Oppure la cultura è il consumo. Tutto è fatto per il consumo. Ed ecco il paradosso dei musei, in cui ci si affolla senza godere delle sfumature del rosa sulle guance della venere di Botticelli o della grazia della mano del Gesù morto nella Pietà di Michelangelo. Trecento anni fa i musei non esistevano; e questo veniva rimpiazzato dal fatto che le piazze delle città, le chiese, i vicoli erano delle opere d’are, talvolta di grandi autori. Ed erano cultura perché chi passava sapeva leggerli: capiva la simbologia medievale della sirena e del cormorano, capiva la differenza tra un re rappresentato sul cavallo rampante o su un cavallo al trotto. Era un linguaggio non verbale che parlava a tutti, perché tutti sapevano leggerlo. E non c’era nemmeno la smania dell’autore di mettere in primo piano il suo nome, tanto che molti dei grandi monumenti antichi sono anonimi, basti pensare alla magnificenza della Colonna Traiana o dell’Ara pacis. Oggi vige il brutto, o al massimo l’utile, o peggio ancora il funzionale, per cui non si distingue più una chiesa da un tribunale.
Possibile tornare ad una cultura che esca dal giro del consumismo per muoversi verso una cultura personale, una slow-culture, di te che magari entri in una chiesa o un museo e resti a guardare un dipinto invece di fare un “tour” anonimo? Avete mai notato che nei musei e nelle chiese ci sono accanto ai quadri solo i dati dell’autore, ma non trovate mai due righe che vi facciano entrare nel perché quel quadro è scuro o luminoso, perché il santo ha una palma in mano, da dove stia scappando Enea col padre sulle spalle?
Siamo in un mondo di culturicchia da bottega, perché oggi ci hanno insegnato a volere e cercare solo quello che è misurabile, che ha un costo, o che ha una data. E questo infiltra anche i luoghi di creazione della cultura: le accademie, le scuole, troppo spesso interessate a fare da aziende. Là dove il nemico oggi sembra essere da un lato la mancanza di tecnologia nell’insegnamento, e dall’altro la troppa tecnologia dell’Intelligenza Artificiale. Ma non è la tecnologia a fare il bravo insegnante; né l’intelligenza artificiale quella che lo soppianterà, se non pensiamo che i ragazzi siano solo dei cocci vuoti da riempire di nozioni. Perché l’intelligenza artificiale mancherà sempre di due caratteristiche basilari dell’insegnamento: il contagio e lo stile del professore. Nessuno si farà mai contagiare dalle nozioni di un computer o affascinare dallo stile che non sia (magari trasandato e talvolta non scevro da errori) quello di un bravo maestro.
Proviamo a rileggere alcune righe di Anders, che tenta con le sue interviste sui grandi crimini della storia, con le sue pagine condivise con la moglie Hannah Arendt, di parlare della cultura routinaria che è la nostra vita, dell’ideale routinario che la permea, della mediocrità che ci viene richiesta da questa neo-cultura. Non cambieremo molto, ma butteremo una macchia di colore nelle nostre giornate e nel modo come pensiamo alla nostra quotidiana mentalità. E la politica (e di conseguenza certi giornali) riparlerà di cultura più spesso nei termini giusti.
Vogliamo allora fare un test alla Gunther Anders? La prossima volta che sentite parlare di cultura, di ministeri della Cultura, guardate dove vola il vostro pensiero: ad un budget? Ad un giro trafelato di musei? Oppure ad una semplice penna, magari solo per prendere un appunto, ad una persona che vi ha colpito con una frase, ad un fiore che avete visto e che sarebbe bello rivedere?
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.