“Quel quadro… quel quadro potrebbe far perdere la fede”. Così, nel romanzo di Dostoevskij L’idiota, esclama il principe Myškin di fronte a una riproduzione de Il Cristo morto, dipinto da Holbein il Giovane nel 1521. E in effetti Holbein rappresenta il cadavere di Cristo con un realismo che sconvolge. La figura di Cristo è a grandezza naturale, deposta, anzi costretta in un loculo stretto e basso, con tutti i segni della morte addosso, a partire dalle dita già livide. E poi l’espressione terribile del volto, i capelli rigidi, le ferite nella carne secca, le mani rattrappite.



Nella storia dell’arte occidentale talvolta si incontrano raffigurazioni non convenzionali del Venerdì Santo. Ad esempio, gli occhi iniettati di rosso vivo del Beato Angelico o lo spasimo estremo della Crocifissione di Matthias Grünewald. Ma in Holbein la drammaticità della morte di Cristo tocca il suo culmine proprio perché pone una domanda alla fede. Scrive infatti ancora Dostoevskij: “…se era quello il corpo (e doveva essere proprio così) che videro i suoi discepoli, soprattutto i suoi futuri apostoli, le donne che lo avevano seguito e assistito vicino alla croce, che credevano in lui e lo adoravano, come potevano essi credere, guardando un cadavere ridotto così, che quel martire sarebbe risorto?”.



Il Cristo morto di Holbein è una immagine terribile. Dostoevskij ne fa parlare ai suoi personaggi perché lui stesso la vide e ne fu turbato. Ora, le immagini di violenza, morte e distruzione da cui oggi siamo circondati, vengano esse dall’Ucraina, dalla Siria o dalle coste del Mediterraneo ma anche solo dalle notti delle nostre periferie, non sono meno forti di quella dipinta da Holbein. Ed anche di fronte alle immagini di oggi, che ci pungono giorno dopo giorno, viene il dubbio che da quella tomba angusta si possa uscire.

Ecco allora perché sono così preziose le parole di don Luigi Giussani, contenute nel manifesto di Pasqua proposto quest’anno da Comunione e Liberazione: “la Pasqua è il mistero principale, il mistero grande della vita cristiana! È per Colui che è tra noi che ognuno di noi riprende, ognuno di noi ricomincia, ognuno di noi rinasce, ognuno di noi risorge”.



Holbein e Grünewald sono due giganti del Cinquecento centro-europeo. Probabilmente il primo vide l’opera del secondo. Ma la Crocifissione di Grünewald, oggi conservata a Colmar, è dipinta su una grande pala d’altare che, aprendosi negli sportelli laterali, con una geniale trovata artistica, mostra anche una straordinaria Resurrezione, in cui un Cristo lieto e luminoso trionfa sulla morte. Spiace per Holbein, ma quella da lui dipinta non è l’ultima parola.

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