Nel marzo del 1776, Adam Smith pubblicava quello che viene considerato uno dei più grandi classici dell’economia, l'”Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni”, una pietra miliare che costituisce tuttora uno dei punti di riferimento della cultura economica.
Il libro di Smith, in verità, non costituiva una vera e propria novità sotto il profilo dell’analisi e della proposta economica, ma era quella che potremmo chiamare la prima “summa economica” in cui veniva sistematizzato e ordinato il pensiero degli economisti precedenti. E non è un caso che sia passato alla storia soprattutto per una frase su cui sarebbe stata poi costruita la storia del liberalismo: “Non è dalla generosità del macellaio, del birraio o del fornaio che noi possiamo sperare di ottenere il nostro pranzo, ma dalla valutazione che essi fanno dei propri interessi”.
Si tratta tuttavia di una citazione che non riassume certo tutto il pensiero di Smith che non era di fatto portato a esaltare il profitto come unico motore dell’attività economica. Non bisogna dimenticare che la prima opera dell’economista scozzese è stata la Teoria dei sentimenti morali in cui sottolineava come il principio fondamentale della vita debba essere considerato il sentimento della simpatia: gli uomini sono naturalmente portati a giudicare positivamente le azioni che contribuiscono alla socialità positiva. Un giudizio che riguarda non solo le azioni degli altri, ma anche le nostre proprie.
La stessa coscienza morale e la motivazione delle scelte non nascono quindi per Smith da principi razionali interiori, ma derivano dal rapporto aperto che l’uomo ha con gli altri uomini e presentano un carattere prevalentemente sociale. Il sentimento della simpatia permette così di introdurre un principio di armonia nell’apparente conflitto tra gli impulsi della generosità e quelli egoistici. Secondo Smith, la felicità di ognuno è possibile soltanto attraverso la realizzazione del bene degli altri. Ecco quindi che colui che viene considerato il fondatore teorico dell’economia di mercato ha le radici del suo pensiero in una visione delle decisioni che ogni persona prende con l’obiettivo della ricerca della felicità condivisa e non semplicemente e unicamente per interessi individuali.
Smith dimostra così che l’economia è una disciplina umana e sociale e non una scienza che risponde alle leggi della fisica o della matematica. Sulla linea di quanto poi ribadito da Keynes che considerava fondamentale un elemento non certo scientifico, quello dell’incertezza.
È in questa prospettiva che si muove l’ampia analisi (“La ricchezza delle nazioni, guida alla lettura”, Ibl libri, pagg. 304, € 22), di Maria Pia Paganelli, docente di economia alla Trinity University di San Antonio, Texas e presidente dell’International Adam Smith Society. Un libro che ripercorre le tesi di Smith alla luce del progresso del pensiero economico negli ultimi due secoli e mezzo con un percorso costruito dall’analisi del circolo virtuoso che può esistere quando la libertà si accompagna all’ordine e l’efficienza alla moralità. “Smith – sottolinea Paganelli nella conclusione – vuol giungere a comprendere un sistema di libertà naturale che potrebbe essere ciò che consente alle nazioni di diventare più ricche e perciò di avere più ordine e buon governo e con essi la libertà e la sicurezza degli individui“.
Con la consapevolezza che tra moralità ed efficienza non ci può che essere un rapporto biunivoco: una società efficiente, in cui non ci sia spazio per monopoli, lobby e interessi particolari, non può che essere una società che difende i principi morali della libertà e della dignità delle persone, ma che nello stesso tempo deriva proprio dai sentimenti morali questi valori sociali ed economici.
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