“Il diario è per me una forma di consapevole resistenza contro un’esistenza impossibile. Fissare per iscritto le particolarità dell’esistenza di carcere e di lager significa oggettivarle, in parte distaccarsene per mostrare loro di tanto in tanto la lingua”. Con queste parole il dissidente sovietico Eduard Samuilovič Kuznecov giustifica nel 1971 la necessità – a dispetto di tutti i rischi – di tenere un diario dei propri anni di reclusione, scrivendolo su minuscoli pezzetti di carta e sperando ogni volta che quanto scritto non sia trovato e requisito dagli agenti di sorveglianza. I diari di Kuznecov, pubblicati originariamente nel 1973 per i tipi di Longanesi e ripubblicati oggi da Guerini e Associati (Parole trafugate. Diari clandestini dalla Russia (1970-1971), per la collana “Narrare la memoria” curata da Memorial Italia con prefazione di Marcello Flores) ci permettono di conoscere una delle personalità più influenti del dissenso sovietico.
Nato a Mosca nel 1938, fra il 1959 e il 1961 fu collaboratore di Feniks e Sintaksis, due riviste letterarie che circolavano clandestinamente grazie al samizdat. Proprio per questa collaborazione e per la partecipazione alle letture pubbliche di poesie in piazza Majakovskij a Mosca, che suggerivano idee di libertà e di umanità che non potevano essere in linea con il potere sovietico, Kuznecov venne arrestato nel 1961 e condannato con l’accusa di propaganda antisovietica a sette anni di regime duro nei lager della Mordovia. Liberato nel 1968, si trasferì con la moglie Silva Zalmanson a Riga, ma il periodo di libertà non durò molto: nel giugno 1970 Eduard e Silva vennero nuovamente arrestati insieme a una quindicina di altre persone, protagoniste di un rocambolesco tentativo di fuga dall’URSS. Kuznecov aveva infatti raccolto un gruppo di ebrei ai quali era stato più volte negato il visto per emigrare: avrebbero dovuto fingere di dover partecipare a una festa di nozze (infatti il nome in codice del piano era “Operazione matrimonio”) e affittare un piccolo aereo a Leningrado per poi dirottarlo, grazie al pilota militare Mark Dymsič, fuggendo prima in Svezia e poi in Israele. Il piano non trovò però mai una realizzazione: appena il gruppo arrivò all’aeroporto Smol’nyj di Leningrado, tutti i partecipanti furono arrestati.
Kuznecov e Dymsič, in quanto organizzatori, furono inizialmente condannati a morte per alto tradimento, mentre gli altri ricevettero pene comprese fra i quattro e i quindici anni di carcere. Grazie alla risonanza internazionale che ebbe il processo e alle pressioni di alcuni capi di Stato (si dice che persino Golda Meir sia intervenuta per spingere il governo sovietico a liberare i prigionieri), le condanne a morte furono inizialmente tramutate in quindici anni di carcere, mentre le altre condanne furono ridotte di conseguenza. Nel 1979, infine, Kuznecov e Dymsič ritrovarono la libertà grazie a uno scambio di prigionieri politici. Kuznecov poté finalmente trasferirsi in Israele, dove si ricongiunse con la moglie, liberata a sua volta nel 1974 grazie a uno scambio segreto con una spia sovietica.
Quello che era iniziato come uno dei tanti processi contro dei dissidenti divenne un caso internazionale che ebbe l’effetto di garantire a centinaia di migliaia di persone in URSS di ottenere un visto ufficiale per emigrare. Se infatti fra il 1960 e il 1970 erano riusciti a emigrare in modo legale soltanto 4mila ebrei, nei dieci anni successivi il numero dei visti rilasciati raggiunse le 340mila unità.
I diari di Kuznecov, la cui prima pubblicazione contribuì a dare risonanza alla condizione in cui si trovavano i condannati in URSS, possono oggi essere riletti come una lucida analisi del sistema repressivo di Stato e un inno alla libertà irriducibile dell’essere umano attraverso la parola: “Scrivo solo per conservare il mio volto. Il campo di concentramento è un ambiente orribile, umiliante, è la consapevole creazione di condizioni tali che l’uomo, ricacciato di continuo nell’angolo, comincia a dubitare dell’utilità di ubbidire alla propria verità e si convince che esiste solo la verità della biologia, l’adattamento. […] Durante la mia prima detenzione ho resistito con violenza all’assalto della non-vita del lager. Adesso mi sarà molto più duro…”.
Le riflessioni presenti nei diari di Kuznecov, scritti più di cinquant’anni fa, risultano di incredibile attualità e sembrano purtroppo adattarsi perfettamente alla situazione della Russia putiniana, che ha ricominciato a perseguitare per via giudiziaria i nuovi “dissidenti” e oppositori del governo.
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