Le Fiabe dei fratelli Grimm sono quasi certamente l’opera più nota della letteratura tedesca di tutti i tempi e anche la più tradotta, dato che sono uscite in quasi duecento lingue. Innumerevoli sono, poi, le trasposizioni cinematografiche e televisive.
Almeno a partire dal 2012, bicentenario della prima edizione, sui Grimm si sta abbattendo la tempesta della Cancel Culture, che vi vede la negazione di tutti i pilastri del politicamente corretto: bambine a cui il padre taglia le mani per salvarsi la pelle, fratellini abbandonati nella foresta per ridurre le spese alimentari di famiglia, sorellastre pigre che finiscono la loro esistenza terrena coperte di pece, anziane signore considerate streghe e arse o gettate vive in un forno, per non parlare del bacio alla bella addormentata nel castello, ovviamente letto come molestia sessuale da chi non ha nessuna idea, neanche vaga, della dimensione simbolica propria del mondo delle fiabe, oppure ce l’ha, e intenzionalmente la combatte.
Verrebbe da ridere per non piangere, non fosse che questo tipo di censura si percepisce sin dentro le pieghe dei programmi scolastici e delle versioni disneyane più recenti.
Non percepire o negare la dimensione simbolica delle Fiabe significa non cogliere il lato più profondo e nascosto della realtà. Il simbolo è mettere insieme le due parti dell’anello spezzato e questo è il primo insegnamento che le fiabe trasmettono: la realtà non è solo quella che cade sotto i nostri sensi.
È proprio questa loro dimensione simbolica a renderle profondamente attuali e, anzi, indispensabili. Come si fa a crescere senza fiabe? A ricordarlo, negli ultimi decenni, è stata soprattutto la ricerca psicoanalitica, che si era già interessata ad esse con Freud (per la verità con qualche esito parossistico), arrivando, in seguito, con Bruno Bettelheim e Marie Louise Von Franz (dunque scuole molto diverse) a riconoscere nelle fiabe – non solo quelle dei Grimm – un ruolo prezioso nella formazione e nella crescita della persona umana.
Tutti noi, poi, associamo le fiabe all’infanzia, ed è giusto così, ma può essere utile ricordare che il titolo originale della raccolta dei Grimm è Fiabe dei bambini e del focolare, cioè della casa, che, sino a qualche decennio fa si raccoglieva appunto attorno al fuoco. Ci fu un tempo (ecco un’altra espressione “fiabesca”!) in cui i censimenti si facevano contando i focolari, cioè i nuclei familiari, quando intorno a quei fuochi si dispiegava l’intera vita: si cucinava, ci si scaldava, si guardavano incantati le braci e le fiamme e, soprattutto, si raccontava. Erano racconti trasmessi da generazioni, spesso a loro volta derivati da letture colte, oppure di origine mitica e misteriosa. Contrariamente a quel che loro stessi lasciarono credere, i due fratelli Grimm, Jacob e Wilhelm, non girarono affatto la Germania per raccogliere dalla viva voce del popolo le loro fiabe, ma le ricevettero da un’ampia cerchia di collaboratori e ci lavorarono a lungo sopra da bravi filologi, dando loro la veste che noi oggi conosciamo. Tra il 1812 e il 1857 le Fiabe ebbero ben sette edizioni e numerose ristampe, la prima delle quali non era pensata per i bambini, ma come un lavoro documentario (i Grimm sono anche autori di importanti opere linguistiche).
Ciò che al politicamente corretto dà fastidio delle Fiabe dei Grimm è per noi la ragione per cui val la pena di leggerle ai nostri bambini (e di rileggerle noi stessi, da adulti): il bene e il male, il brutto e il bello, sono chiaramente contrapposti ed è proprio tale opposizione ad assumere un alto valore educativo. Così scriveva Wilhelm Grimm nella Prefazione alla seconda edizione: “In queste peculiarità trova il suo fondamento il fatto che da queste fiabe si possa trarre un aiuto a vivere il tempo presente; non era questo il loro scopo originario né per questo sono state inventate, ma ne è maturato, un po’ come un buon frutto matura da una sana fioritura senza che l’essere umano vi prenda parte”.
Il male esiste ed è parte della realtà: a questo dato di fatto richiamano costantemente le Fiabe ed è questa constatazione, sia che la si legga in funzione del male morale che del lato “ombra” dell’esistenza di ciascuno, come fa la psicologia del profondo, che sta il loro profondo valore educativo e il fascino che continuano a esercitare.
Le fiabe finiscono (quasi) tutte bene per i loro eroi e, poiché questi ultimi sono per lo più gente comune, esse ci dicono che l’angoscia può essere superata. La Bibbia conosce questo sentimento, che viene descritto nello smarrimento di Pietro, quando il Maestro gli chiede di camminare con lui sulle acque. Non è un paragone irriverente: Jacob e Wilhelm Grimm erano cristiani, di fede protestante riformata, e quando si trattò – già allora – di spiegare come si potessero senza eccessivi timori leggere a dei bambini delle storie a tratti tanto truci, amavano ricordare che a casa loro ogni sera si leggeva un capitolo della Bibbia, e non sempre quel che ci si ascoltava era privo di aspetti “indigesti”.
Le fiabe vivono di un mondo parallelo, che è simile a quello dei sogni, a volte belli e sereni, a volte incubi. Come i sogni, anche le fiabe gettano una luce sul mondo che usiamo chiamare “reale”. Certo, nella realtà il lieto fine non sembra affatto esserci o esserci sempre, ma le fiabe non pretendono di essere la realtà, come non lo pretendono i sogni. Gli eroi delle fiabe, in particolare quelle dei Grimm, vivono tutti un fiducioso abbandono al destino, più forte delle paure e dell’angoscia. Le fiabe, tutte, vogliono solo educare a far emergere qualcosa che è nascosto e lo fanno con il linguaggio semplice che le caratterizza, che è quello dei simboli.
Proprio per questo, le Fiabe dei Grimm sin dalle loro prime edizioni hanno posto seri problemi interpretativi. Già alla fine dell’Ottocento non è mancato chi ha voluto leggervi la sopravvivenza di un mondo pagano germanico o la contrapposizione tra religiosità e fantasia popolari e religioni istituzionalizzate, in primis quella cristiana.
Karl Barth, protestante riformato come i Grimm, spiegava il cattolicesimo con la metafora di Santa Maria sopra Minerva, la chiesa romana costruita su quello che era originariamente un tempio pagano. Di molte fiabe dei Grimm vale lo stesso principio: sono un edificio che si è costruito nel tempo, attraverso tradizioni orali, ma anche letterarie, su visioni diverse del mondo. I miti germanici qua e là emergono con evidenza, ma sarebbe – ed è stato – un errore pensare che si possa isolare uno strato originario, o presunto tale, prescindendo dalla storia e dalla tradizione in cui esso solamente esiste. E che noi, appunto, siamo chiamati a raccogliere nel nostro presente.
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