“La disgrazia che ha colpito mia madre e me, è come un’immensa, spaventosa montagna, che abbiam dovuto valicare, e quanto più ora ce ne allontaniamo tanto più ci appare alta e terribile contro l’orizzonte”.

È Pier Paolo Pasolini, nella lettera del 21 agosto 1945 all’amico Luciano Serra, a descrivere così il dolore per l’efferata uccisione del fratello Guidalberto, il ventenne che nella Brigata partigiana Osoppo aveva assunto il nome di battaglia di Ermes, uccisione avvenuta a febbraio 1945 in Friuli, all’interno del Bosco Romagno, in località Novacuzzo di Prepotto, per mano di altri partigiani italiani, appartenenti alla Brigata Garibaldi, come poi riconosciuto in giudizio.



E son proprio gli atti del processo per i fatti di Porzûs, nei diversi gradi di giudizio a Brescia, Lucca, Firenze e Perugia, e del processo stralcio riguardante la morte di Guidalberto Pasolini, nei due gradi di Udine e Venezia, ad attestare che i partigiani dell’Osoppo caddero sotto i colpi, di mitraglia e di martello, dei partigiani della Garibaldi, perché si erano opposti all’annessione del Friuli alla Jugoslavia di Tito, come settima repubblica.



Ma è ancora il poeta di Casarsa, nello struggente testo composto dopo aver partecipato il 7 febbraio 1946 a Porzûs alla prima commemorazione dell’eccidio che vide 20 Osovani cadere tra le malghe di Topli Uork (meglio note come Malghe di Porzûs), Bosco Romagno e Drenchia ad opera di altri partigiani, a rivolgersi al fratello ormai morto, nel tardivo, lacerante tentativo di dissuaderlo dal suo proposito di donare la vita per la libertà dell’Italia, con queste parole: “Guido, non salire/ Non ricordi più il tuo nome?/ Ermes, ritorna indietro/ davanti c’è Porzûs contro il cielo/ ma voltati, e alle tue spalle/ vedrai la pianura tiepida di luci/ tua madre lieta, i tuoi libri … / Ermes ahi non salire/ spezza i passi che ti portano in alto/ a Musi è la via del ritorno/ a Porzûs non c’è che azzurro”.



Tutto il dolore per la perdita dell’unico fratello, ma anche tant’altro a riguardo del rapporto tra i due figli, così dissimili, di Carlo Pasolini e Susanna Colussi, come delle vicende della Resistenza in Friuli e dei processi che portarono alle condanne di membri della Garibaldi, è documentato nel libro di Roberto Volpetti, presidente dell’Associazione Partigiani Osoppo-Friuli, dal titolo I Pasolini. Guido e Pier Paolo. Resistenza e libertà (Gaspari, 2023).

Il testo si avvale della prefazione di Paola Del Din, medaglia d’oro al valor militare, del contributo conclusivo di Roberto Castenetto, mentre dedica il primo capitolo alla figura dell’avvocato Silvano Silvani, che per tanti anni si dedicò gratuitamente alla ricerca della giustizia per i partigiani dell’Osoppo.

L’uscita del libro è avvenuta a ridosso del centenario dalla nascita di Pier Paolo Pasolini celebrato nel 2022, a 48 anni dalla sua tragica scomparsa all’idroscalo di Ostia e a 78 dall’uccisione del fratello Guidalberto.

Secondo lo storico Paolo Pezzino, docente emerito di storia contemporanea nell’Università di Pisa, l’originalità de I Pasolini. Guido e Pier Paolo. Resistenza e libertà è dovuta anche alla pubblicazione degli atti riguardanti il processo stralcio ai responsabili dell’uccisione di Guidalberto Pasolini, nei due gradi di giudizio di Udine e Venezia. Infatti, di tali atti era stata persa traccia e il loro ritrovamento è dovuto alla scrupolosa ricerca d’archivio recentemente condotta dal tribunale di Udine su richiesta dell’Associazione Partigiani Osoppo-Friuli.

Una delle altre particolarità del testo è la pubblicazione di un ricco corredo fotografico, nel quale spiccano le immagini della partecipazione popolare ai funerali di 19 dei partigiani osovani uccisi a febbraio 1945, funerali tenutisi a Cividale del Friuli il 21 giugno 1945, come pure le splendide immagini riguardanti la prima commemorazione dell’eccidio svoltasi alle malghe di Porzûs a febbraio 1946, alla quale intervenne lo stesso Pier Paolo Pasolini.

La diversità tra i due fratelli Pasolini emerge anche dalla lunga lettera, pubblicata nel testo, che Guidalberto, già impegnato tra i partigiani sulle montagne del Friuli, scrisse a Pier Paolo il 29 luglio 1944 per chiedergli qualche articolo a sostegno dell’Osoppo, la Brigata che aveva già avuto modo di rilevare sulla propria pelle l’orientamento dei capi garibaldini all’annessione alla Jugoslavia di Tito. Infatti, Guidalberto apre quell’unica lunga missiva con le parole “Pier Paolo carissimo, quanto ti scriverò in questa lettera ti stupirà moltissimo. ‘Ma io non c’entro!’ dirai alla fine facendo uno sconsolato gesto con le mani. Sono pienamente d’accordo … e d’altra parte ‘siamo’ convinti che tu con qualche articolo ci puoi essere di grande aiuto”.

Guidalberto, dopo aver raccontato alcuni episodi accaduti nei confronti armati con i tedeschi, nei quali gli Osovani si sentivano già abbandonati, se non traditi dai garibaldini, conclude la lettera scrivendo: “Comprendo perfettamente che molto probabilmente tu non avrai né tempo né voglia di compilare gli articoli su accennati, comunque se hai intenzione di farli, falli al più presto…”.

Solamente dopo pochi mesi Guidalberto pagò con la vita la sua fedeltà all’Italia.

Nella conclusione di Roberto Castenetto, il testo I Pasolini. Guido e Pier Paolo. Resistenza e libertà documenta come la vita del poeta di Casarsa fu travolta e segnata fino alla fine dalla morte così crudele di quell’unico fratello, che dal padre Carlo aveva imparato l’amore per la patria, ma dallo stesso Pier Paolo aveva appreso il valore della libertà.

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