Bastano poche decine di righe e ti assale il dubbio che no, non stai leggendo Il libro nero della magistratura di Stefano Zurlo, cronache di malefatte e inadempienze tratte dai verbali della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. Ti chiedi se non hai tra mano Le nuove inedite mirabolanti strampalate e clamorosamente inverosimili avventure di Karl Friedrich Hieronymus von Münchhausen. Chi non lo ricorda? Quello che sin da piccoli abbiamo conosciuto come il Barone di Münchhausen. Il campione delle enormità più enormi. Quello che arrampicandosi su una pianta di fagiolo a crescita infinita raggiunse la luna; che si salvò dalle sabbie mobili tirandosi su per i capelli; che cavalcò a lungo sulla metà anteriore del cavallo, avendo avuto, la povera bestia al galoppo, mozzato il retrotreno da una saracinesca nemica; quello che piombò sui nemici a cavalcioni di una palla di cannone. Eccetera.



Altrettanto incredibile è, ad esempio, che un giudice beccato ubriaco alla guida dell’auto urli ai carabinieri “sbirri di m., mi avete rotto i c., non sapete chi sono io” e, non pago, alla dottoressa del 118 “ti leccherei la…”. Sembra inverosimile anche l’assiduità infallibile del molestatore seriale di colleghe e avvocatesse, che non ne manca una nemmeno per momentanea distrazione. Poi c’è il gran moralizzatore che giustamente di giorno in tribunale condanna i reprobi e i violenti, e di sera a casa picchia la moglie. E guardate un’altra colossale enormità: un pigrone in toga che lascia andare fuori tempo massimo qualcosa come 74 cause civili: fuori tempo non per un pelo ma per 300-600 giorni. Via, un paio di annetti.  Ma non è finita. Una volta che una sua pratica arriva a sentenza, forse perché già affaticato dai 74 ritardi, emette un verdetto col copia-incolla: un testo di 71 pagine di cui 55 sono prese di sana pianta, fino all’ultima virgola, appunto copia e incolla, da quanto scritto da… una delle due parti.



Un altro disinvolto togato risulta aver affidato un numero inverosimile di perizie e consulenze (214 in due anni) allo stesso professionista, un odontoiatra, il quale – ma guarda un po’ che combinazione – è suo abituale compagno nelle assidue frequentazioni di paradisi a luci rosse. Un altro giudice ha fatto contemporaneamente il vicesindaco. Un altro esercitava, in parallelo a quella di giudice, la professione di avvocato. Un altro ancora ha dimenticato in cella un imputato per 51 giorni.

Sono tutte storie incedibili e per questo avvincenti, ancorché un po’ ributtanti, perché i reprobi per sciatteria o corruzione ne hanno combinate di talmente grosse – in nome del popolo italiano – che sei proprio curioso di vedere fino a che punto di indecenza sono capaci di arrivare. E poi giustamente di sapere come va a finire. Insomma se vengono condannati, puniti, radiati dall’ordine. E qui la saga continua, in un intreccio complesso, imprevedibile, ricco di estenuanti tira molla e di spiazzanti colpi di scena: come un frustrante gioco dell’oca o una interminabile gimkana, che si chiama iter giudiziario. Una girandola di cavilli, sottili distinguo, ricorsi e controricorsi; sentenze che o campa cavallo o brillano per indulgenza, manco celebrassero il Giubileo della misericordia: “I verdetti più di una volta appaiono di manica extralarge”, annota l’autore nella prefazione. Le punizioni inflitte – quando non è andato tutto in cavalleria – fanno al reo poco più che il solletico: ammonizioni, per lo più, ma senza neanche il cartellino giallo; o censure. Solo raramente la perdita di anzianità, rarissimamente la radiazione dall’ordine giudiziario.



Il signore togato dei ritardi mostruosi e del copia-incolla, condannato sì, è stato poi assolto in Cassazione per “mancanza di motivazione” (!). Il picchiatore della moglie è stato assolto perché averla spedita a botte al pronto soccorso non fa “emergere da parte del magistrato altro che una quotidianità triste…”. Il giudice vicesindaco? Ammonito. E avanti così, salvo rare eccezioni.

Di molte altre storie non edificanti nulla qui anticipiamo: sarebbe come svelare il finale di un thriller. Si sappia che esse sono se possibile ancora più colossali delle sopra accennate.

Le mirabolanti imprese dell’inarrivabile Barone erano frutto di fantasia, mentre di vero c’era il nome del protagonista, quel Karl Friedrich Hieronymus von Münchhausen, militare di carriera nato e vissuto in Sassonia nel XVIII secolo. Nel volume di Zurlo, viceversa, le mirabolanti imprese dei togati bricconcelli sono vere fino all’ultimo dettaglio, mentre frutto di fantasia, insomma finti, sono i loro nomi. Protetti dalla norma, recentemente rafforzata, che tutela il diritto alla riservatezza e il diritto all’oblio. Il Csm ha fatto avere a Zurlo i file dei verbali, migliaia e migliaia di pagine, contenenti i procedimenti sui “peccati inconfessati delle toghe italiane”. Insieme alla “raccomandazione” di omettere i nomi e anche i luoghi e ogni altro elemento che potessero far risalire all’identità degli autori delle nefandezze.

Il lavoro di Zurlo è da scrittore e da cronista: la mano e lo stile sono quelli del narratore che ti tiene incollato al racconto, il mestiere che c’è sotto è quello del giornalista di razza che scava, trova i documenti, accerta, verifica, è preciso nei dettagli, non sborda con giudizi che tracimino al di là dei fatti. È stato anche, il suo, lavoro dell’esploratore e dell’archeologo. Le malefatte (reali o presunte) dei politici sono esposte en plein air con gran strepito di fanfare; quelle dei togati sono sepolte negli archivi e ovattate nel silenzio. Ce n’è voluta per avere le carte. Ma come Heinrich Schliemann ha portato alla luce le tracce dell’antica Troia, trasportandone la memoria dalla leggenda alla storia, così Zurlo ha portato alla luce certe cose che alla gente è meglio fargliele sapere, trasferendole dai sepolcri oscuri dell’oblio alla illuminazione della cronaca. Senza stimolare reazioni isteriche; addirittura rendendo mite, con sana ironia, la pur giusta e naturale indignazione. L’ironia connota infatti la vera saggezza: la quale non ignora, mai, che senza macchia è solo l’Agnello qui tollit peccata mundi. Altri esseri viventi no, non lo sono. Compresi i candidi ermellini. Nemmeno il Barone di Münchhausen è arrivato ad attribuirsi la strabiliante impresa di essere nato senza il peccato originale. Ecco: più ancora che le nefandezze compiute dai reprobi, ci indignerebbe se qualcuno pretendesse di superare il Barone di Münchhausen.