A Betlemme tutto esaurito, tutti esauriti. “Tutto pieno. Cogliamo l’occasione, però, per informarvi che, da domani, abbiamo belle promozioni”. Un posto, però, i Tre dell’Ave Maria devono recuperarlo oggi, non domani. La cosa buffa è che tutti, qui, stanno aspettando arrivi il Bambino per intonare il Buon Natale, ma quando passa nessuno s’accorge.



Peggio: dicono in faccia ai suoi – mentre Lui sta curvo nel ventre mariano – che non c’è spazio. Basta guardare la strada per capire come dev’esser messo il cuore di chi è in attesa: il traffico, le auto d’epoca, clacson agitati, marciapiedi luridi, la boria di chi ha parcheggiato nel posto riservato ai disabili. Quello davanti va piano? “È cretino!” Quello dietro sorpassa: “È un pazzo!” L’unico capace è chi guida l’auto sua: “Dove troverai la villania nelle strade, troverai la villania nelle case” (E. De Amicis).



L’evangelista, guardando la città, avvisa: “non c’era posto per loro nell’albergo”. L’attendono tutti: è Lui che attendono tutti. Lui, pigiato nella pancia di Maria, passa, bussa, suona, invoca gentilmente permesso. Niente: “Tutto pieno! Da domani, però, ci sono offerte imperdibili”.

È oggi, però, che Lui vuole far (ri)nascere il mondo: la campanella della ricreazione sta per suonare. Domani è già leggermente tardi, non son ammessi ritardi: “Quanto altezzosi questi umani – borbotta Giuseppe a Maria –: già vogliono comandare i pensieri del nostro Figliolo nascente”.



Semaforo rosso, dunque, a Betlemme per i Tre dell’Ave Maria. Loro, però, sono così in pace col mondo, sereni, che si fermano volentieri al semaforo. C’è tempo di riaggiornare il navigatore, spostarsi d’uno sputo fuori dal centro storico dove gli ostelli costano meno. E almeno il bestiame è solidale con l’Iddio: “Lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia”. Nasce lì – tra l’odore della popò e gli affanni della Madonna, con Giuseppe faro-guardiano sulla pianura – l’Ometto che, un giorno, sfiderà le corazzate, smonterà le città, farà crollar muri, intonerà l’Alleluja e il Miserere. In una stalla, dove pestan forti lampi e saette: “Figliomio, non aver paura – lo sfiora Giuseppe per bloccare i primi vagiti del Bambingesù – servono anche i temporali per vedere chi sarà disposto a dividere l’ombrello con noi tre”.

Giuseppe è pragmatico, Maria è un’ape operaia, il Bimbo è un soldato semplice: partono da zero, senza nessun aiuto fraudolento, senza vantar meriti pur potendolo fare, assai. Che nessuno, domattina, dica che hanno conquistato la cima calandosi con l’elicottero dieci metri prima. Niente affatto: dal basso, dal punto più basso e lercio, dal sottoscala della città, dalla stalla partiranno. E pian piano saliranno, passo passo, mano nella mano.

All’ultimo qualcuno, vedendoli flosci come cachi dalla stanchezza, offre la stanza, ovviamente maggiorando il prezzo come strozzini: “No grazie, non possiamo permettercelo!” rispose Maria, l’economa della famiglia. Giuseppe, sfinito, avrebbe forse accettato: qual padre, per un figliolo in arrivo, non sarebbe disposto ad ipotecare la sua bottega? “No, Giuseppemio – lo inquadra Maria –. Peggio di chi si vende per tutto, c’è chi si fa comprare con niente”. Poveri ma signori: “Abbiamo Gesù, noi due. Che bisogno abbiamo di mendicare?” Un giorno, forse, s’accorgeranno che, per chi ha la pancia piena, nessuna pietanza sarà appetitosa ai loro palati. “Non hanno fame di Lui, non lo vedi Giuseppino mio? Bastano a loro stessi”. Seduti, guardano il loro Dio.

Le bestie, riottose per fama, si son tolte lo spazio dai piedi per affittare una dimora a Iddio. È giusto, dunque, che siano gli uomini delle bestie a fissar prima d’altri il Gesù: “Vi annuncio una grande gioia: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore. Troverete un bambino, avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia

L’annuncio dev’esser stato allarmante anche per uomini avvezzi a guardare lupi ingordi se l’Angelo li anticipa: “Non temete! Il fatto è che le cose belle iniziano sempre con un po’ di paura. Per vincerla basterà non avere fretta: le persone migliori amano raccontarsi lentamente. Una paura (vinta) alla volta.

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