Coloro che, come gli assistenti sociali, si dedicano al lavoro sociale ed educativo e che, quindi, hanno a che fare con ciò che è proprio ontologicamente di ogni uomo, la sua fragilità, sperimentano da tempo l’insufficienza di un approccio meramente scientista basato solo sulle scienze umane o di una mera deontologia professionale, intesa come insieme di precetti da rispettare. 



E non perché queste dimensioni siano inutili, ma perché appaiono insufficienti. Gli operatori sociali di fatto hanno riscoperto, nella loro concreta esperienza, l’importanza della dimensione delle virtù del carattere, senza di cui non si sarebbe motivati e guidati nel concreto delle diverse e mutevoli situazioni ad applicare e tradurre gli stessi precetti della deontologia e tantomeno ad “inventare” creativamente soluzioni nuove come un gesto affettuoso o una battuta ironica. 



Tale riscoperta è stata certo incoraggiata dall’attuale rilancio dell’etica delle virtù (Virtue Ethics) nel contesto filosofico internazionale. Il volume Le virtù in azione. Prospettive per il lavoro sociale ed educativo a cura di Daniela Piscitelli e Giuseppe Trevisi (Marcianum Press 2021), che raccoglie molte comunicazioni tenute ad un convegno promosso a Milano dall’associazione Mete nel novembre del 2018, ha il pregio di tenere insieme la riflessione teorica sulla centralità della riscoperta delle virtù nel panorama culturale e filosofico contemporaneo con le esperienze di chi lavora professionalmente in ambito sociale. 



Per quanto riguarda il primo aspetto i vari contributi di docenti universitari (Botturi, Campodonico,  Mortari, Piscitelli, Samek Lodovici, Trevisi, Ubbiali, Vaccarezza) si soffermano sia sui caratteri generali di questa riscoperta della dimensione classica delle virtù, sia su singole virtù come la fiducia, la speranza e la giustizia. In particolare il tema della fiducia appare importante perché è alla base della dimensione comunitaria e del lavoro educativo. Senza coltivare una base di fiducia, alimentata a sua volta dalla speranza, non è possibile la vita sociale e politica e quindi neppure il lavoro sociale. 

Questo tema, trattato inizialmente da Francesco Botturi, è ripreso spesso nella seconda parte del volume nei diversi contributi di “esperti” del settore (Mariani, Giordano, Chiarelli, Casini, Vacante, Gorgoni, Biancotto), i quali sottolineano la centralità della dimensione relazionale nel lavoro sociale ed educativo. Non si può pensare ad una maturazione virtuosa dell’operatore sociale e di coloro che usufruiscono della sua attività senza un lavoro “fiducioso” di ascolto e d’intelligente valorizzazione dell’altro e senza rinunciare ad imporre propri schemi precostituiti. 

Si tratta, in altri termini, di attivare un riconoscimento dell’avvenimento dell’altro. Come è stato giustamente osservato, “generoso non è soltanto chi dona, ma chi accetta di ricevere e si mostra riconoscente, perché in tal modo attiva un movimento di reciprocità che sgancia il dono dal rischio di andare in cortocircuito” (p. 144). Questa sottolineatura della responsabilizzazione di tutti i partecipanti ad una comunità, in cui dovrebbero eccellere proprio gli operatori sociali, manifesta la dimensione comunitaria implicita, in particolare, nel lavoro di costruzione di reti relazionali teorizzato a suo tempo da Lia Sanicola (Dinamiche di rete e lavoro sociale, Liguori 2009). 

In sostanza: le virtù del carattere non sono riducibili ad un elenco di buone qualità da applicare sul modello dei precetti della deontologia professionale aggiornati, ma come suggerisce il titolo del volume Le virtù in azione, devono essere lette come espressioni di quel dinamismo di maturazione umana complessiva, mosso da un interesse ultimo per il bene, che, come osservato da Alasdair MacIntyre, si alimenta necessariamente nelle comunità di vita e di lavoro ed alimenta a sua volta tali comunità. Questo dinamismo virtuoso non può mai prescindere da un lavoro intimamente personale. Come è stato opportunamente osservato: “c’è un lavoro inarrestabile da fare sempre come operatori: essere impegnati con sé stessi” (p. 11).

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