Se ne intendeva proprio Dante di peccati, di malvagità, di angoscia e di dolore, come ampiamente il suo Inferno documenta. Chi non ricorda il Conte Ugolino intento a rodere la testa dell’arcivescovo Ruggieri, o i barattieri che i diavoli fanno affondare nella pece bollente, o l’angoscia di Paolo e Francesca condannati a ricordare l’amore che li ha condotti alla morte e  alla dannazione?



Ma doveva intendersene anche di bellezza e di felicità, lui che nell’amore per Beatrice aveva sperimentato la totalità della dolcezza e della beatitudine. “Ogne dolcezza (…) nasce nel core a chi parlar la sente”. Forse proprio questa esperienza vissuta di felicità e di pienezza avrà accompagnato Dante nel racconto della beatitudine eterna, individuando negli Spiriti che abitano il Paradiso alcune caratteristiche peculiari. Siamo nella III Cantica della Commedia, quella un po’ meno popolare, forse perché ritenuta più distante dalla condizione umana. C’è però un fattore che, a ben guardare, ce la può far percepire immensamente vicina: il fatto che le dimensioni umane che si vivono nel Paradiso sono esattamente quelle che ognuno di noi desidererebbe sperimentare nel proprio quotidiano.



Le anime del Paradiso si “muovono”, sempre, agiscono, insieme, spinte da un medesimo impeto. E la concordia non nasce da una rinuncia o dall’appannarsi dei desideri individuali, ma dalla totale coincidenza di ogni desiderio soggettivo con “la divina voglia”, con la volontà di Dio, perché “E ’n sua volontade è nostra pace”.

A documentazione della vicinanza alla condizione umana, possiamo anche notare che neppure in Paradiso il poeta rinuncia alla rappresentazione scenica, alla concretezza materiale. Sempre i beati ci appaiono non in evanescenze diafane, ma in una “forma”,  in una immagine che insieme contribuiscono a creare o ad animare. Può essere la Croce di Cristo nel Cielo di Marte, o la scala d’oro del VII Cielo, o le corone danzanti degli Spiriti sapienti, ma sempre tante individualità, persone vissute in tempi e contesti diversi, diventano parte di una “cosa” unica. È decisamente un umano desiderabile quello che vivono le anime del Paradiso, un umano bello e corrispondente alla nostra natura.



Quante volte, in questi tempi così drammatici, abbiamo percepito l’inevitabilità di essere “insieme”, quante volte abbiamo toccato con mano che solo la solidarietà e l’aiuto reciproco possono affrontare i bisogni (materiali e non solo) che questa pandemia sempre più drammaticamente fa emergere! Ma anche quante volte, di fronte alla litigiosità e alla logica delle contrapposizioni che dominano il mondo della politica e (tragico a dirsi!) anche quello della scienza e della sanità, ci è venuto da pensare che se coloro che hanno potere e conoscenze unissero sforzi, intelligenza e  azioni, avendo come obbiettivo primario il bene della gente e non l’affermazione di sé, forse si troverebbero le soluzioni migliori in minor tempo.

E intanto abbiamo costruito un mondo disintermediato, un mondo senza ideologie, senza appartenenze, senza corpi intermedi, ognuno per sé, con il proprio schermo e la propria tastiera, nell’illusione che così, senza mediatori, possiamo essere più liberi.

Ma al fondo di noi qualcosa grida che siamo fatti per non stare da soli, per non concepirci isolati. La nostra natura, il cuore, ci dicono che la persona è relazione, che la verità di ognuno di noi si realizza nei rapporti, che ogni io si compie nel rapporto con un tu. Dobbiamo deciderci. Possiamo soccombere alla paura dell’altro (perché comunque l’altro fa anche paura), evitare il rischio dei rapporti, sfogare la rabbia sui social, spegnere il video e lasciarci affondare nel nulla, guardare la vita politica e sociale solo con scetticismo o al massimo un po’ da tifosi. Ma potremmo anche fidarci del nostro desiderio, di quella scintilla che ci fa intuire che pensare, guardare, decidere “insieme” ci corrisponde di più, è più adeguato alla nostra vera misura.

Possiamo dare credito a questo desiderio allargando il cuore e la mente per intercettare ogni scintilla di una possibile risposta. E se in qualcuno questa positività è già in azione, allora sì, possiamo “metterci insieme”!