Con Un difficile viaggio (Ares, 2022), il decano della poesia italiana Giampiero Neri (classe 1927), con la sua prosa poetica, essenziale, scabra, dove nulla è superfluo o puramente esornativo, torna ai luoghi della sua infanzia, a Erba. Ma, rispetto a Piazza Libia e al Professor Fumagalli e altre figure, quest’ultimo libro porta con sé qualcosa di nuovo: infatti, le sessanta prose poetiche che compongono il libro hanno un unico soggetto, il cugino Sandro, un ragazzo irrequieto, “dalla bellezza di un Narciso”, appassionato cacciatore.



 Ne nasce una sorta di biografia, articolata in sessanta quadri che fissano le tappe della vita di Sandro, da quando, ragazzo scontroso e solitario, amava avventurarsi a caccia “nel bosco a ridosso del lago di Alserio, che aveva un nome selvaggio quanto inospitale era il luogo, Buerga” (IV), e poi, attraverso le fasi della crescita, dall’abbandono della scuola, a causa di uno scontro con le idee del preside dell’istituto, “uno scontro avvenuto soltanto nella sua mente”, ma sufficiente ad allontanarlo definitivamente dagli studi regolari. Quindi, l’apprendistato commerciale nella ditta vinicola del padre, gli anni trascorsi in Puglia, con la nostalgia per il verde della Brianza, e poi il ritorno, con l’idea di dedicarsi alla pittura. E qui, Giampiero Neri non si limita a raccontare fatti e avvenimenti: spesso, infatti, troviamo riflessioni, dichiarazioni di preferenze e ammirazione artistica (il romanico così solido ed essenziale, eppure così capace di suscitare riflessioni mistiche, il monumento di Terragni ai caduti della Grande Guerra) che sono comuni al soggetto e certo anche all’autore del libro.



Ritornano anche, in Un difficile viaggio, quelle tematiche che sono state al centro della riflessione di Giampiero Neri (pensiamo a Teatro Naturale): la ricerca di un insetto come figura araldica nei quadri del protagonista, fa tornare l’autore sui temi che gli sono congeniali, a partire dalla passione per i Ricordi entomologici del Fabre. E anche qui troviamo la cifra di Neri, ovvero l’osservazione della natura con occhio che non cerca mai l’idillio, con lenti che non sono mai colorate di rosa, ma che, anzi, nella piccola dimensione del quotidiano, fra insetti, formiche e farfalle, assiste al dipanarsi di una realtà dura e spietata, di continua guerra per la sopravvivenza, fra i minuscoli esseri che popolano i nosri giardini, i nostri boschi – del resto, lo diceva già Leopardi che un giardino è come un vasto ospedale – e poi fra gli uomini e gli animali, come nel caso della lotta alle rondini e ai pipistrelli del quadro LIV, che si conclude con la considerazione, sconfortante, ma espressa con la consueta pacata semplicità, secondo la quale “l’uomo è il più ingegnoso nemico di sé stesso”.



E poi, vediamo le osservazioni sull’arte, che il cugino Sandro coltiva pazientemente, ritrovando persino una certa nostalgia per i paesaggi riarsi della Puglia (quando invece mentre viveva laggiù sognava il verde dei luoghi natali, attorno a Erba): quelle osservazioni così severe e misurate, autentiche sententiae, sono da intendersi solo come riferite alla pittura, o possono anche attagliarsi alla ricerca e al magistero poetico di Giampiero Neri? Leggiamo per esempio qui: “Era il percorso dell’arte che lui avrebbe cercato, come il suo amato Campana, ‘Ho cercato di fare un poco d’arte’. Qualcosa per cui valeva la pena. Non lo intimoriva la grandezza dell’arrivo. Si addentrava all’inizio, solo anche lui, del cammin erto e selvaggio’” (XXIV). Un cammino lungo, solitario, tenace e paziente, quello dell’arte, come viene prospettato qui; e allora viene davvero da chiedersi se quella solitudine adolescenziale e giovanile, quella del ragazzo che non giocava a pallone con i coetanei e che amava andare a caccia senza la compagnia di nessuno, non sia stata prodromica a quella della gestazione artistica, che non deve avere fretta: “… patient merit, dall’Amleto (…) Il merito è paziente e la lingua inglese, che ama la concretezza, non lo definisce in altro modo, usando parole di derivazione latina. È dunque una verità consolidata, sperimentata nel tempo. Al merito si accompagna la pazienza” (XLII).

Da ultimo, nel finale, nel quadro che chiude questa biografia simbolica di un uomo che ha consacrato la vita a dipingere quadri, alla sua personale, ecco chiudersi il cerchio e vediamo, alta, elegante, mai dimenticata, la figura di Anna Maria, l’antica compagna di scuola, la prima per cui Sandro aveva imparato a provare dei sentimenti: un ritorno alle origini, quasi un saldarsi del tempo su se stesso.

Se dovessimo decidere univocamente a quale genere letterario ricondurre Un difficile viaggio, saremmo in seria difficoltà: prosa poetica, riflessione esistenziale, (auto)biografia spirituale, o una riflessione, sotto mentite spoglie, sul difficile cammino nell’arte? In ogni caso, una tappa importante dell’opera del Maestro – per fortuna non più in ombra – della poesia italiana.

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