Il mondo d’oggi non è necessariamente contrario al cristianesimo, anzi. Tenta di includerlo e inglobarlo, per ridimensionarlo e attutirlo. In Occidente, secondo tale temperie radical chic e politicamente corretta, il cristianesimo non ha posto le radici a un mondo universalista e aperto, ma è la parte ingiallita di un tutto che ha raggiunto soglie avanzate di progresso tecnologico e umano con libertà civili per tutti.
In tale ottica, un cristianesimo domestico e addomesticato da esibire in tv come il cugino di campagna povero e passato è tollerabile anche pubblicamente. Dire “Dio esiste” rientra tra le opzioni che durano il tempo di un clic e non incide nella realtà. Il cristiano anonimo, portatore invisibile della sua scelta soggettiva, aiuta a costruire cittadinanza e sviluppo sostenibile, perciò è utile alla civitas terrena.
Le cose cambiano quando il cristiano parla di sé e dice di una novità che ha raggiunto la sua vita, cambiandola e raddrizzandola. Dio “tutto in tutto” diventa un’esperienza nella carne, che, se trasmessa, mette in crisi il Potere, per il solo fatto di esserci e di essere presente. Dio tutto in tutto dice di una possibilità incisiva che fa traballare i potenti sui troni, innalzando gli umili.
Il potere mondano sa, però, come muoversi nella società mediatica e riduce l’Avvenimento a ideologia. Tutti abbiamo visto cos’è successo dopo la morte di Benedetto XVI. Il dibattito pubblico si è concentrato e focalizzato sulla guerra tra progressisti e conservatori. Sono state fatte analisi comparative tra la teologia della communio e quella del popolo. Si sono cercati pettegolezzi, maldicenze e illazioni. Si è ritornati alla fatidica scelta del 2013. E gli analisti hanno parlato di tutto: Ratisbona, pedofilia, validità o meno della rinuncia. Tutto ciò ha fatto dimenticare l’agostinismo del prof. Joseph Ratzinger. L’uomo, per il fine teologo, è costituito da domande insopprimibili sul senso della vita e solo Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è la risposta adeguata a un bisogno così grande e strutturale.
Proprio per questo nella Dominus Jesus Benedetto XVI segnalava l’unicità di Cristo, venuto per tutti. Non dunque, una pia religiosità, una cittadinanza esemplare, ma la coscienza di essere peccatori e il bisogno per tutti di essere salvati cioè felici davvero. E la necessità di guardare Cristo, di viverlo, di dirlo, di testimoniarlo per grazia, dal di dentro di un luogo preciso.
Ma non capita solo questo. Il mondo riduce il segno ad apparenza. Il giudizio di Papa Francesco sulla guerra e il seguito che ha tra la gente semplice vengono ridotti a pura evanescenza. Il Papa deve fare il Papa ed è quindi un suo ruolo specifico parlare di pace. Ecco dunque la sua attenzione al Sud Sudan, al Congo, all’Ucraina, a favore degli uiguri e dei rohingya. I suoi appelli, secondo la mentalità laicista, rientrano in un contesto più complicato a livello geopolitico che una vecchia istituzione non controlla del tutto. Le parole di Papa Francesco sono una parte auspicabile di un tutto più grave e complesso, che sfugge a un giudizio solo etico-profetico. Ma non è così. Non è qui in gioco una sorta di pacifismo cattolico tessuto di spiritualismo disincarnato. Papa Francesco vede già da tempo l’avanzare rischioso di una terza guerra mondiale a pezzi. Perciò ha a cuore il destino dei popoli e dei singoli volti sotto minaccia, davanti a Dio Padre. Il suo dolore è legato alla salvezza storica ed eterna di tutti e di ciascuno. E non rinuncia per questo a un giudizio netto sullo “schema di Caino” e su chi ha iniziato una guerra disumana che miete vittime innocenti, generando orfani e vedove. Altro che cristianesimo disincarnato. Si tratta nella Sua azione pastorale di mettere ognuno di fronte all’eternità e alla responsabilità su ciò che fa.
Un’altra riduzione mondana è quella del cuore nella sua interezza a sentimentalismo. Nell’età del narcisismo (Lasch) e dell’atomismo sociale contano le emozioni e gli stati d’animo. Il soggetto deve andare dove lo porta la sensazione soprattutto se impressa con forza, magari dagli influencer o dal momento speciale. Conta l’attimo, non il giudizio su ciò che è bene oggettivo. Tutto va bene e tutto andrà bene: poliamore, adozioni gay, eutanasia, ecc. Il sentire è più importante dell’essere, la sedicente etica è più significativa dell’ontologia, la labilità emotiva è più cogente dell’evidenza della bellezza.
Il pensiero unico porta, così, tutti all’anestesia della ragione assecondata dai media. Abbiamo visto, in un altro ambito, cos’è successo dopo la cattura di Messina Denaro: il giusto entusiasmo per la cattura. Ma c’è stata una domanda sul perché un uomo scioglie un bimbo nell’acido? Perché il cuore dell’uomo viene ottenebrato dal buio nulla? Nei talk show nessuno ha sollevato la questione. Conta l’istante, non la domanda di senso. Ma la domanda di un cuore che cerca resiste e non si ferma davanti agli uomini grigi. Chi darà giustizia a quel bambino che ha dovuto subire un male così antiumano e antidivino? Chi consolerà i familiari delle vittime del dovere?
E per questo con buona pace di tutti, con le sue domande, il cristiano sarà sempre portatore di qualcosa di non facile da addomesticare. Una vena sovversiva in grado di inquietare la tranquillità imperturbabile della civitas, attratta dalle parole d’ordine del neopuritanesimo woke o da chi riduce la religione a opzione nazionale, dimenticando l’Avvenimento.
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