Il termine giubileo indica in origine le indulgenze che il fedele cattolico può lucrare in determinate circostanze compiendo particolari pratiche di devozione secondo le indicazioni stabilite di volta in volta dal Papa. Con giubileo (o anno giubilare) si intende anche il periodo di tempo durante il quale si possono ottenere queste indulgenze, e in particolare l’Anno Santo, pratica che fu istituita da Bonifacio VIII nel 1300 e che ricorre in genere ogni venticinque anni: vi possono essere però anche giubilei straordinari in circostanze diverse e per ricorrenze specifiche e locali: per esempio quest’anno si celebra nella diocesi di Pavia il giubileo di San Riccardo Pampuri, proclamato per ricordare il trentennale della canonizzazione.



Nella coscienza del parlante il termine giubileo viene normalmente associato al gruppo di parole a cui fanno capo giubilo e giubilare, ma dal punto di vista della storia linguistica la vicenda è più complessa, perché le due famiglie di parole hanno origine totalmente diversa, anche se la loro storia ha finito per intrecciarsi.



Giubilo è parola che ha la sua origine nel vocabolario latino: iubilum è il sostantivo e iubilare è il verbo che ne deriva. Quest’ultimo significa propriamente “gridare”. I grammatici antichi ci fanno sapere concordemente che iubilare descrive un modo di fare un po’ sguaiato e proprio della gente di campagna: i Romani di città hanno un comportamento meno grossolano, e il verbo che si adatta ai Romani di Roma (i Quiriti, per l’appunto) sarebbe quiritare “strillare, esprimere il proprio disappunto”. L’origine di iubilare è probabilmente onomatopeica: iubilare sarebbe in origine “urlare facendo iu (in modo un po’ sconveniente)”, e si può tentare un collegamento con altri termini indoeuropei di significato affine, per esempio in greco iýzein “gridare”, iygmós o iygé “grido (di sofferenza o di paura)”.



Giubileo ha tutt’altra origine: si rifà a una parola semitica, ebraico yôbēl, che in origine indica il corno dell’ariete, e poi, in modo più specifico, il corno dell’ariete svuotato e usato come strumento musicale. Infine il termine passa a indicare il giubileo stesso, in quanto annunciato dal suono gioioso del corno.

Il giubileo ebraico, come apprendiamo dalla Bibbia (in particolare da Levitico 25, 10-11), è un momento di pausa per l’uomo e il creato: l’anno del giubileo ricorre al termine di sette settimane di anni (dunque al cinquantesimo anno), ed è un anno dichiarato santo che prevede riposo per l’uomo e per i terreni. Ai servi viene ridata la libertà e i terreni ritornano agli antichi proprietari (“Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo [yôbēl]; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia”). Non si deve coltivare nulla, e ci si deve nutrire col raccolto spontaneo dei campi e delle vigne e coi prodotti conservati dagli anni precedenti: il tutto per ricordare che proprietario della terra è il Signore, mentre l’uomo è soltanto un inquilino che la lavora. Nella versione greca dell’Antico Testamento (la cosiddetta Settanta) la parola ebraica è tradotta con la perifrasi aphéseōs sēmasía “annuncio di remissione”, con una parola che contiene un’idea di acquietamento e di pacificazione: in sostanza il giubileo è un momento di rinnovamento spirituale e sociale.

La versione latina, la cosiddetta Vulgata, preferisce rifarsi direttamente alla parola ebraica, e traduce con iobelaeus, la cui forma mette in evidenza la differente origine rispetto alle parole latine della famiglia di iubilo. I due gruppi nella Bibbia latina hanno usi distinti: iobelaeus ha un significato tecnico e designa in modo specifico la prassi del giubileo ebraico.

Poi, come è inevitabile, le due parole foneticamente simili si sono avvicinate fra loro e confuse, e iubilare assume il senso, che poi gli è rimasto, di “manifestare la propria gioia”: nella Bibbia iubilum e iubilare sono sempre riferiti a contesti di allegria e letizia, spesso in collegamento con termini quali exultare o psallere “danzare” (iubilate extrema terrae, “giubilate estremi confini della terra” Is, 44, 23; psallite in iubilo, “danzate in giubilo” Ps. 32, 3, e vari altri passi).

Spesso le parole deviano dal loro valore per assumere significati lontani da quello originario, e anche il gruppo di giubilare non si è sottratto a questa evenienza. In vari testi medioevali con giubilare si fa riferimento alla beatitudine eterna. Ma poi si è scesi dal cielo alla terra, e all’idea delle beatitudine celeste si è affiancata l’idea del riposo e del benessere terreno. Giubilare ha assunto così il valore di “concedere il riposo da una carica o da un impiego”. Inizialmente si usava il termine solo per indicare chi aveva maturato gli anni necessari per cessare dal lavoro e, come si dice in burocratese, per essere collocato in quiescenza. Oggi si usa giubilare per dire che una persona viene congedata o collocata a riposo prima che sia scaduto il tempo del suo servizio o del suo mandato: in grazia di questo nuovo uso tendenzialmente negativo, il termine è molto usato nel mondo della politica e dello sport, in cui la giubilazione soprattutto degli allenatori è prassi diffusa.