Da alcuni anni si è diffuso l’uso di parlare delle Americhe, dal nord al sud di quello che è un’unica massa di terra, ma di cui solo una frazione nordica si era gradualmente appropriata del nome singolo per identificarsi come l’unica entità americana. Contro questa tendenza si sono opposte recentemente con maggiore vigore le altre Americhe, soprattutto quelle latine, volendo distinguersi da quelle anglosassoni. Per ragioni non solo di recupero del nome che un italiano, Amerigo Vespucci, diede a questo grandissimo continente, ma anche per orgoglio della propria diversità. Ma che succede poi? Succede che laddove ci sono 50 stati sotto la stessa bandiera, nell’America Latina invece ci sono 20 nazioni con le proprie e differenti bandiere ma con la stessa lingua. Succede anche che la superpotenza nordica è andata rubando nel tempo non solo il nome ma anche gli spazi prestigiosi di rappresentazione nel mondo.
Non dovrebbe perciò sorprendere se al recente Salone internazionale del libro di Torino, che quest’anno ospitava non paesi dell’America Latina ma una lingua, è stato assegnato un angolo stretto e rumoroso. Sebbene il tema di questa edizione sia stato “Il gioco del mondo”, con l’annunciato tributo all’opera di Julio Cortázar e alla lingua spagnola, pare che questo speciale avvenimento non abbia avuto la dovuta attenzione nei dettagli per la ricezione di ciò che veniva promosso:
“La prima grande novità di questa edizione è la mancanza di un Paese ospite e la presenza di una lingua ospite, ovvero lo spagnolo. Tra le più parlate al mondo, la lingua spagnola è la protagonista del Salone, con l’iconica Piazza dei Lettori ribattezzata ‘Plaza de los Lectores’ per l’occasione. Non solo autori spagnoli, ma anche scrittori latinoamericani e cubani: tra gli ospiti ispanofoni del Salone ci saranno Luis Sepulveda, Enrique Vila-Matas, Claudia Piñeiro (Argentina), Guadalupe Nettel (Messico), Leonardo Padura (Cuba), Nona Fernández (Cile), Karina Sainz Borgo (Venezuela). All’interno della Plaza de los Lectores sarà poi possibile avere un assaggio della migliore produzione contemporanea in lingua spagnola, oltre alle rappresentanze dei vari Paesi e delle maggiori università spagnole e sudamericane. Non mancheranno i reading a tema, in cui grandi interpreti italiani si misureranno con i capolavori della letteratura spagnola, come nel caso di Neri Marcorè che leggerà Gabriel Garcia Marquez” (Cito da un recente servizio di Artribune, online).
È interessante notare alcuni scarti: nei mondi da cui provengo, e cioè dalle Americhe, gli autori spagnoli sono quelli dei 20 paesi più uno (la Spagna) e fra gli scrittori latinoamericani ci sono anche i cubani. Ma quando il linguaggio si fa mercato e si vende la letteratura come il pesce – “sarà poi possibile avere un assaggio della migliore produzione contemporanea” – allora “lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”.
Se poi si volesse chiedere al normale cittadino italiano di nominare i paesi in cui la lingua ufficiale è lo spagnolo, si spera che almeno le mappe delle agenzie del turismo servano. Certo tutti sapranno subito rispondere che c’è per prima la Spagna, e molti subito diranno l’Argentina, dove c’è ancora qualche parente. Poi c’è il Messico, che è sempre stato più capace di imporsi, e certamente Cuba per i suoi recenti mitici personaggi. Forse il Cile per il notorio Pinochet, ma qui già si passa ad un più alto livello di educazione. E forse il Perù per Machu Picchu.
Bisogna dire che da Torino e dal festival del libro si poteva pretendere più attendibilità e accuratezza. Non vorrei accusare nessuno di ignoranza, anche perché temo che sia questione di qualcosa che potenzialmente è peggio: l’indifferenza. Dopo tutto, quale riguardo c’è nell’inconscio collettivo per la Spagna, e non parliamo poi di quei paesi con i pinguini e gli indios! L’America anglosassone è riverita, anche quando criticata, ma quella latina è semplicemente dimenticata. Poi ci sarebbe da dire qualcosa anche del Canada…