È uscito, presso la casa editrice Orthotes, l’ultimo volume di Massimo Borghesi dal titolo Il male necessario. L’etica del superuomo nel manicheismo romantico. Il volume mette a fuoco il modello etico che sta alla base dell’idea di superuomo: quello che sorge dalla mescolanza di luce e tenebre, bene e male, Dio e il diavolo. Il manicheismo nuovo, che sorge nella temperie del primo romanticismo tedesco, non teme il negativo. Memore del patto di Faust, lo utilizza come impulso per arricchire la vita, la potenza, il progresso. Sarà Hegel, con la sua dialettica, a consacrare il patto con il Serpente, a siglare l’idea, destinata ad avere grande fortuna, per cui il bene può sorgere solo “attraverso” la mediazione del male. Il male – ed è la prima volta che ciò accade – diviene ora necessario. Una necessità che porta alla giustificazione “razionale” della guerra, un tema a cui sono dedicate molte pagine del libro e che ne conferma la sua attualità. Riportiamo qui alcune pagine del volume tratte dal primo capitolo, “Il patto con il Serpente” (ndr).
“Sono più di due secoli che la cultura europea accarezza il male, lo blandisce, lo giustifica. Il negativo comunica vertigine, delirio di onnipotenza, emozioni inconfessabili; illumina di bagliori rossastri i sentieri proibiti, gli abissi della notte, le vette ghiacciate. Colora di sé il peculiare titanismo moderno, la provocatoria sfida che esso lancia all’Eterno. Se il Faust antico, quello di Marlowe, si pente in punto di morte, quello posteriore vive dell’oltraggio, brama la dissoluzione. Il patto col serpente, come titola Mario Praz uno dei suoi ultimi volumi, diviene ora stabile. Il serpente, il tentatore, appare nelle vesti del liberatore, di colui che solleva l’uomo al di là del bene e del male, al di là della “legge”, al di là del Dio antico, nemico della libertà. Gli ultimi duecento anni riscoprono “il principio liberatore del mondo [affermato] dalla setta degli Ofiti”, principio intravisto, secondo Gershom Scholem, dalla concezione sabbatiana con il suo Messia consegnato ai “serpenti”. Principio riaffermato da Ernst Bloch nel suo Ateismo nel cristianesimo dove il Cristo-serpente libera il mondo dalla tirannia di Jahvè. Anche Goethe, secondo Vittorio Mathieu, “aveva sentito parlare della setta degli ofiti”. Nel suo Goethe e il suo diavolo custode Mathieu osserva come nel Faust Mefistofele è la “forza che fa emergere dalla tenebra il positivo dell’uomo”. Come afferma Dio, rivolto a Mefistofele nel “Prologo in Cielo”:
“Non hai che da mostrarti, liberamente, quello che sei; non ho mai odiato i tuoi pari; di tutti gli spiriti che negano, il beffardo è quello che mi dà noia minore. L’attività dell’uomo si affloscia troppo facilmente ed egli si adagerebbe con piacere in un assoluto riposo. Perciò gli metto volentieri accanto un compagno che lo sproni, ed agisca, e deve, come diavolo, creare”.
Il diavolo è posto volentieri (gern) da Dio come collaboratore dell’uomo. Come notava Mircea Eliade, “si potrebbe parlare di una simpatia organica tra il Creatore e Mefistofele”. Goethe fa di Mefistofele, del male, la molla che muove verso l’azione (Tat), verso ciò che è positivo. Si tratta dell’idea, destinata a percorrere molta strada, per cui la via verso il Cielo passa attraverso l’Inferno. L’uomo diventa uomo, vivo, intelligente, libero, solo assaporando fino in fondo l’amaro della vita. L’innocenza dell’“anima bella” è, al contrario, inerzia, stasi, morte. Hegel, con la sua dialettica del negativo, darà una sontuosa veste teorica a quest’idea. L’uomo deve peccare, deve uscire dall’innocenza naturale per divenire Dio. Egli deve realizzare la promessa del Serpente: deve conoscere, come Dio, il bene e il male. Questa conoscenza è, come abbiamo già ricordato, “l’origine della malattia, ma anche la sorgente della salute, è la coppa avvelenata nella quale l’uomo beve la morte e la putrefazione, e nello stesso tempo il punto sorgivo della riconciliazione, poiché porsi come cattivo è in sé il superamento del male”.
Attraverso questa prospettiva la figura dell’Angelo ribelle, di colui che, provocando l’uomo, lo innalzerebbe alla sua libertà, rifulge di uno splendore nuovo. Mefistofele diviene, passo dopo passo, l’eroe, il Prometeo moderno, il liberatore. Da Byron a Vigny la “mitologia satanica” elabora la figura di un “angelo del male”, ribelle e vendicatore, le cui premesse risalgono indietro nel tempo. Giustamente Mario Praz, nel suo La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, l’opera a tutt’oggi più interessante sul fascino del demoniaco nella letteratura dell’800, indica l’inizio di questo processo nella peculiare caratterizzazione di Satana offerta da Milton nel suo Paradiso perduto. “Fu Milton a conferire alla figura di Satana tutto il fascino del ribelle indomito che già apparteneva alle figure del Prometeo eschileo e del Capaneo dantesco”. L’Avversario “diventa stranamente bello”. Come scriveva Baudelaire: “le plus parfait type de Beauté virile est Satan – à la manière de Milton”. Al suo confronto, osserva Harold Bloom, “il Dio di Milton è una catastrofe”, così come il Cristo il quale “è un disastro poetico nel Paradiso perduto”. Per Blake: “Milton era impacciato scrivendo di Dio e degli Angeli, e a suo agio scrivendo dei Demòni e dell’Inferno, poiché egli era un vero Poeta, e dalla parte del Demonio senza saperlo”. Giudizio, questo, perfettamente condiviso da Shelley per il quale: “Nulla può superare l’energia e lo splendore del carattere di Satana quale si trova espresso nel Paradiso perduto … Il demonio di Milton come essere morale è di tanto superiore al suo Dio”.
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“Così grazie a Milton, alla sua rielaborazione mitica, Satana fa il suo ingresso nell’immaginario moderno. Si ha quella che Praz chiama, nel secondo capitolo del suo volume, “Le metamorfosi di Satan”, il suo trapassare da figura negativa a eroe positivo: il ribelle triste, privato, come l’uomo, della sua felicità paradisiaca da un dio tiranno. Nel suo studio Praz documenta, con grande perizia, autori e correnti che fanno propria la mitologia satanica. Se nel 700 “il Satana miltonico trasfuse il suo fascino sinistro nel tipo tradizionale del bandito generoso, del sublime delinquente”, è nell’800, nella temperie romantica, che egli diviene il ribelle, l’espressione della rivolta metafisica, del “no” alla creazione. Fu Byron “a portare a perfezione il tipo del ribelle, lontano discendente del Satana di Milton”. Con lui il ribelle diviene lo “straniero”, l’uomo impenetrabile che trascende l’ordinario modo di sentire, che trascende i suoi stessi delitti. È l’oltre-uomo che sta più in alto e al contempo più in basso degli altri uomini. È l’infelice che si nutre di risentimento verso un dio crudele del quale imita la crudeltà. La teologia di Byron è la stessa di De Sade la cui opera, secondo Praz, ha una influenza fondamentale nella letteratura romantica. Al centro v’è l’odio verso la creazione e il suo autore, l’esaltazione del piacere e del crimine come dileggio, profanazione, oltraggio. Siamo qui di fronte, secondo Praz, ad un “satanismo cosmico”. La sua influenza è enorme. Se la natura crea solo per distruggere, assecondare la natura è ripeterne il ritmo, il piacere della distruzione, il gusto (sadico) che fa sorgere il piacere dal dolore, il delirio dall’annientamento, il divino dal diabolico. È la pittura di Delacroix. “Quel pittore ‘cannibale’, ‘molochista’, ‘dolorista’ che fu Delacroix, instancabilmente curioso di stragi, d’incendi, di rapine, di putrideros, illustratore delle scene più cupe del Faust e dei poemi più satanici del suo idolatrato Byron; quell’innamorato di felinità […] e dei paesi violenti e calorosi”. È la poesia di Baudelaire, nutrita di Poe e di Sade, il cui pessimismo cosmico è più simile all’eresia manichea che alla religione cristiana: “Absolu! Résultante des contraires! Ormuz et Arimane, vous étes le même!”. È la narrativa di Flaubert per il quale “Néron vivra longtemps que Vespasien, Satan que Jésus-Christ”. Dei Canti di Maldoror di Lautréamont, il quale confessa di aver “cantato il male come hanno fatto Mickiewicz, Byron, Milton, Southey, A. de Musset, Baudelaire”. Di Swinburne che, avvinto dalla teologia gnostica di Sade, declama il suo uomo in rivolta:
“… potessimo ostacolare la natura, allora sì il delitto diventerebbe perfetto e il peccato una realtà. Se l’uomo potesse far questo, se egli potesse intralciare il corso delle stelle e alterare il tempo delle maree; se potesse cambiare i moti del mondo e trovar la sede della vita e distruggerla; se potesse entrare in cielo e contaminarlo, nell’inferno e liberarlo dalla soggezione; potesse trar giù il sole e consumare la terra, e ordinare alla luna di spargere veleno o fuoco nell’aria; potesse uccidere il frutto nel seme e corrodere la bocca del pargolo col latte di sua madre; allora si potrebbe dire d’aver peccato e d’aver fatto del male contro natura”.
Distruzione e profanazione: questo è il piacere più grande. Un filone consistente della letteratura, a partire dal romanzo libertino del 700, gode della profanazione. La violazione appassiona in quanto trasgressione, oltraggio. Il corpo, quello della donna, è tanto più oggetto del desiderio quanto più esso è inerme (bambina, vergine, suora). Profanarlo è togliere la trascendenza, ricondurre alla terra, svelare il volto oscuro di Eva, l’eterno femminino da sempre legato al potere di Satana. Il demoniaco mescola il puro e l’impuro, ha bisogno dell’innocenza per eccitare le passioni, per destare la forza dirompente del negativo. Con De Sade l’eros diviene parte di una teologia gnostica. Dopo di lui il connubio tra Eros e Thanatos, amore e morte, diviene l’elemento dominante di un nichilismo luciferino che trova nel Decadentismo prima e nel Surrealismo poi il suo compimento.
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L’idea di fondo è che la redenzione passa attraverso la degradazione, la grazia tramite il peccato, la vita attraverso la morte, il piacere mediante il dolore, l’estasi per opera della perversione, il divino mediante il diabolico. Il fascino che il negativo – metafora del demoniaco – esercita sulla cultura degli ultimi due secoli dipende da questa singolare idea: che le vie del Paradiso passino attraverso l’Inferno, che “Discesa all’Ade e resurrezione” siano uno. Consegnarsi al demonio, in una singolare trasposizione gnostica dell’idea per cui perdersi è ritrovarsi, è aprirsi a Dio. In questo “sacro” connubio Satana e Dio si uniscono nell’uomo. È l’“identità di Sade e dei mistici” auspicata da Georges Bataille. Per essa la via all’ingiù coincide con la via all’insù. Faust, ora, non può più pentirsi, nemmeno in punto di morte. L’Avversario è diventato complice, “parte” di Dio. È la via per divenire dio. Il brivido del nulla, della discesa agli Inferi, accompagna la scoperta dell’Essere, di Abraxas, il pleroma senza volto che permane, immobile, nel divenire del mondo.
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