Quando penso a Franco Loi (1930-2021) – all’uomo e al poeta insieme, sempre intimamente legati dal suo vèss òm e vèss puèta – non posso fare a meno di rivederlo sbucare lì, sulla soglia del bar Spartacus in zona Cinque Giornate, in una torrida serata milanese di giugno. Arrivò a tarda sera per ascoltare noi, giovani affamati di vita e di domande proprio come lui, che rimase un’intera serata con noi a leggerci De Diu sun matt e a mostrarci la forza del dialetto e del canto della poesia muovendosi con quei suoi guizzi da sciamano o aedo, le sue dita a indicare misteriose traiettorie nell’aria come note di un pentagramma.
Era un camminatore o una sorta di francescano pellegrino Franco Loi, che si spostava sui suoi tram ascoltando il ritmo della sua Milano in cui era approdato in mezzo alla scighera a soli sette anni, milanes püssé d’un milanes che conosceva a fondo tutti i nomi e i segreti della sua città di cui sapeva anche avvertire le veloci e profonde trasformazioni. Nomi di strade, di vicoli e piazze che anche a colloquio con lui, nella sua casa di viale Misurata, tornavano talvolta come frammenti di un mondo forse in parte perduto.
Quella sera, in quella Milano di asfalto liquefatto che ricordava quella di Milo De Angelis – altro scrittore che, pur nella diversità stilistica, aveva trovato nell’autore de l’Angel un faro a cui guardare per il respiro insieme lirico ed epico della sua poesia – ricordo ancora lo sguardo estatico e attento del poeta intorno a noi, mentre il caldo umido non accennava a scemare.
C’era, nella sua poesia e insieme nella sfera fisica della sua persona, una sorta di smania, di energia febbrile che sembrava sprigionarsi in un continuo ed incessante movimento, una sorta di “estrosa” ispirazione che lo portava a scendere nelle strade del mondo e a parlare come rapito dall’ascolto della voce di un Altro che in lui dettava suoni, parole e immagini: “Sí, seri estrûs, e te dirú, Nuénta, / sun schittâ giò a la gran piassa vèrta, / e l’era l’aria, o l’era la granisa / di tilli al Leuncavall che grapelaven / d’un duls smucciûs e d’un umbrià d’arbrisa” (Sì, ero estroso e ti dirò, Noventa, / sono saltato di scatto giù, alla gran piazza aperta, / e era l’aria, o era la graniglia ghiaccia / dei tigli che, verso via Leoncavallo, penzolavano a grappoli / di un dolce smoccioloso e di un ombreggiare di fogliami mossi dalla brezza). Sentirlo leggere dal vivo questi versi iniziali di Stròlegh (Einaudi 1975, poi recentemente ristampato insieme a Teater) restituiva pienamente l’universo della sua poesia, sempre percorsa da forze in movimento e attraversata da continue ascese e risalite.
Così lo era il mondo delle sue poliedriche letture, da Omero ai tragici e filosofi greci e da Dostoevskij e i grandi narratori e poeti russi fino ai contemporanei, con una particolare predilezione per le tante scritture dialettali che percorrono la nostra penisola da Nord a Sud e di cui era stato acuto e originale scopritore sulle colonne del Domenicale. Ancora in movimento era il poeta mentre si spostava come un rabdomante tra gli scaffali della sua biblioteca personale inseguendo il filo vertiginoso della memoria e leggendo Dante, Belli, Noventa, citando Confucio e i Vangeli, parlando di Beatrice. L’immagine che emergeva agli occhi del suo interlocutore o del lettore dei suoi testi era quella di un poeta dominato da un moto perenne, sempre immerso nel camenà attraverso le vicende politiche e culturali italiane dal secondo dopoguerra fino ad oggi.
Proprio per ripercorrere il cammino di Franco Loi la Biblioteca di Milano dell’Università Cattolica, che ha ricevuto in donazione i libri e le carte appartenuti al poeta, ha ora inaugurato una mostra che intende tracciare le fondamentali tappe biografiche e creative dello scrittore, tra i maggiori autori del secondo Novecento. Accanto a una serie di pannelli narrativi che accompagnano il visitatore attraverso la biografia del poeta, sono esposti diversi volumi e documenti conservati presso la Biblioteca d’Ateneo: numerose prime edizioni di testi di Loi, vari esemplari librari con dedica autografa di grandi poeti del Novecento (tra i quali Vittorio Sereni, Franco Fortini, Andrea Zanzotto), alcune lettere ricevute da Loi in relazione al proprio operato poetico e carte d’archivio che documentano i vari passaggi redazionali della lavorazione dei testi. Il Fondo Loi è infatti un’eccezionale miniera di studio per la letteratura italiana contemporanea e permette di ricostruire nella sua totalità l’esperienza letteraria e umana del poeta, fornendo così uno straordinario strumento di ricerca specialmente per le nuove generazioni.
La mostra Franco Loi, il milanese che parla al mondo, organizzata dalla Biblioteca d’Ateneo con il contributo di Regione Lombardia e il patrocinio del Comune di Milano, è allestita presso l’atrio della sede di Via Nirone 15 e resterà aperta al pubblico e visitabile gratuitamente fino al 31 gennaio 2025.
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