Luigi Covatta stanotte ci ha lasciato, risvegliandosi a un tratto e poi chiudendo gli occhi serenamente come aveva vissuto: come un giusto, sempre impegnato per il bene comune, che per lui, e per quelli come lui, era ed è la Politica.
Figlio del Concilio Vaticano II, divenne, in quella straordinaria Milano degli anni sessanta del Novecento, un brillante dirigente dell’Intesa: l’organizzazione degli universitari cattolici che alimentò, con le altre organizzazione studentesche universitarie, quel vivaio della classe politica italiana destinata alla direzione dei partiti della Repubblica dopo gli anni dell’autunno caldo e del cosiddetto Sessantotto.
Ma Gigi ebbe un’altra formidabile esperienza politica, poiché fece parte di quella coraggiosa pattuglia di cattolici guidati da Livio Labor che, dopo la decisione delle Acli di abbandonare il collateralismo con la Dc, proclamando il principio della libertà di voto per gli aclisti, fondarono, nel 1970, il Movimento politico dei lavoratori (Mpl) e il giornale Alternativa.
Unitamente a Gennaro Acquaviva, al quale fu legato per tutta la vita da un legame profondo, Gigi diede vita, a partire da allora, a una delle esperienze più interessanti non del dissenso cattolico, come la si definisce comunemente, ma della testimonianza cattolica nella politica militante, senza nulla disperdere né della fede in Gesù Cristo, né della fede socialista. Credo che furono quelli gli anni in cui Gigi apprese quella difficile virtù che non è solo del rivoluzionario ma, ancor di più, del riformista: la virtù della pazienza. La pazienza: non a caso uno dei dodici frutti dello Spirito Santo dopo l’Amore, la Gioia e la Pace. “La pazienza e l’ironia sono le virtù principali dei rivoluzionari”, fa dire Jorge Semprun a Diego Mora nel film La guerra è finita, mentre Diego si avvia a raggiungere in clandestinità una Madrid sotto il tallone fascista per organizzare lo sciopero generale, ben sapendo che sarà un insuccesso e che sarà arrestato. Sì, sono certo che Gigi assunse già da allora quella forza che lasciava ammirati quando si incontrava la sua salda fede operante.
Quando l’esperienza del Mpl non riuscì a inverare le sue potenzialità, Gigi, con Gennaro Acquaviva e altri compagni, aderì alla sinistra lombardiana del Psi e poi fu con Bettino Craxi nella storia politica che da quella trasformazione del Psi seguì. Sia nell’attività di governo sia in quella di organizzatore culturale, Gigi portò sempre la sua sete di conoscenza e di libertà, fiducioso nei giovani e aiutandoli nella loro lotta e nelle loro scelte. Il suo carattere riservato e discreto non nascondeva l’empatia profonda con cui si confrontava con tutti. Con la Fondazione per il Socialismo, al fianco di Giuliano Amato e Gennaro Acquaviva, identificò quell’arduo e alto crinale della lotta politica che doveva ormai svolgersi in condizioni nuove dopo la distruzione iniziata negli anni novanta sia dei partiti politici sia della società politica che a essi aveva dato vita e che con essi aveva costruito la nuova Italia repubblicana dopo la Resistenza e la Costituzione. Un’Italia che si reggeva sull’impresa pubblica e privata, sul Parlamento, le organizzazioni sindacali e le agenzie intellettuali e culturali che tutto questo mondo alimentavano e rinnovavano. Gigi fu fedele a questa ispirazione originaria assumendo la direzione di Mondo Operaio: a essa rimase sempre fedele, tra mille fatiche ma continue conferme della giusta scelta.
Una via riformista, “menscevica” sino in fondo e per questo ingrata e durissima. La rivista Mondo Operaio è una delle ultime frontiere: forse l’ultima che bisognava e bisogna ogni giorno costruire e ricostruire nella ricerca sia sulle trasformazioni capitalistiche in corso in Italia e nel mondo, sia delle forme di resistenza morale e intellettuale, che bisognava e bisogna prepararsi ad affrontare prima che la nuova via del socialismo ritorni a riaprirsi per coloro che nel socialismo umanitario non hanno perduto la fede.
Così scriveva, con quel suo sarcasmo che univa il dolore alla felicità della testimonianza, Charles Péguy ai suoi lettori, introducendo il Tredicesimo Quaderno della seconda serie: “C’est peut–être ce situation de désarroi et de dretesse qui nous crée plus imperiosament que jamais, le devoir de ne pas capituler. Il ne faut jamais capituler”. Era il 20 giugno del 1909. Oggi siamo immersi in una storia mondiale che più drammatica non potrebbe essere. Per questo l’ esempio, la testimonianza, di Luigi (Gigi) Covatta non ci può abbandonare. Dobbiamo rinnovare quella pazienza dei riformisti socialisti di oggi che rinnova quella di ieri e che è quella di sempre.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.