Un’idiozia che va ripetendosi ogni anno, in occasione del 9 novembre. Non tanto una semplice cazzata, ma una colossale falsità – una gigantesca frottola – frutto di un’ignoranza colpevole. O di un piano studiato a monte per manipolare la storia e la sua memoria. Anche quest’anno, il 9 novembre, si è rinfrescata la memoria di una delle costruzioni più (malauguratamente) celebri dell’ingegneria europea del Novecento: il muro di Berlino. Venne costruito per fermare l’esodo di tanti laureati, intellettuali, operai qualificati che, stanchi di una situazione economica difficile e delle restrizioni che il regime comunista della Ddr imponeva alla loro libertà, dalla Germania dell’Est emigravano verso quella dell’Ovest. Passando per Berlino, appunto: ch’era diventata, nel frattempo, una vera e propria vetrina del capitalismo occidentale.
Costruirono un muro, dunque: per fare in modo che non fosse così semplice accedere a Berlino Ovest e, da lì, pendere un aereo per la Germania Occidentale: questo, per la Ddr, era un grosso problema. “Si poteva, comunque, scavalcarlo!” dirà qualcuno. Non è che fosse così facile: era sorvegliato a vista da guardie armate costrette a sparare a chiunque tentasse di farlo. Come se non bastasse, c’era anche un fossato, il filo spinato, i cani e le guardie. Vennero murate persino le finestre delle case che si affacciavano al muro, con tanto di abbattimento di alcuni edifici. Correva l’Anno Domini 1961.
Fino all’Anno Domini 1989 continuò questa storia. Quando, dopo una serie di proteste spontanee dei cittadini di Berlino – dopo che tante cose erano ormai cambiate –, il governo della Ddr fece un annuncio inatteso: si poteva tornare a viaggiare con libertà verso la Germania dell’Ovest. Successe che il 9 novembre 1989 i cittadini di Berlino, armati di piccone, accorsero presso l’odiato muro per demolirlo una volta per tutte.
Nonostante i fatti siano accaduti così, ancora oggi ci si ostina ad affermare (ad insegnare nelle nostre scuole, a leggerlo nei libri di storia) che il muro di Berlino è caduto. Quando basterebbe leggere i fatti storici con un pizzico di attenzione per capire che il muro di Berlino non è mai caduto. Fosse dipeso dal muro, la mattina del 10 dicembre 1989 lo avrebbero ritrovato ancora lì, nel medesimo posto dov’era rimasto per quasi trent’anni: a svolgere il triste ruolo di divisore tra fratelli. Non è mai caduto, dunque, il muro di Berlino: il fatto eclatante, successo in quello storico giorno, è che un gruppo di berlinesi, a colpi di piccone, ha fatto cadere il muro di Berlino. Logori di vedersi separati tra fratelli, decisero che quel muro maledetto andava smantellato, abbattuto. Quel giorno, dunque, non cadde il muro di Berlino: quel giorno è stato fatto cadere il muro di Berlino. Il che, a rigor di logica, non pare sia proprio la stessa cosa.
La memoria di quella giornata, dunque, andrebbe insegnata correttamente per non contribuire all’illusione. Perché insegnare che “il muro è caduto” è dire agli studenti: “Tranquilli, tanto le cose sistemano da sole. Basta aspettare”. È un invito a guardare le cose accadere o, al massimo, dopo che sono accadute, a cercare di capire perché sono accadute.
All’opposto, insegnare che “il muro è stato fatto cadere” è educare che certe cose accadono (nel senso letterale di ac/cadere) perché qualcuno ha il coraggio di farle accadere. Costi quello che costi, perché convinto che se una cosa è sempre andata per un certo verso non è detto che quella cosa debba continuare ad andare così.
“Il succo è lo stesso: non perdiamoci in queste quisquilie. Suvvia!” ribatte qualcuno. Non è così: l’uso delle parole, quando c’è di mezzo l’uomo, non sarà mai una minuzia. Non è la stessa cosa dire “carico residuale” o “prossimo tuo”: se la carne in gioco è la stessa, è la prospettiva con la quale la si osservi a sancire l’immane differenza. Come con le forme dei verbi: tra “è caduto” ed “è stato fatto cadere” passa la differenza tra starsene svaccati sul divano ad aspettare che le cose cambino. E darsi da fare per cercare di cambiare le cose. Come a Berlino.
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