Cristina Dell’Acqua ha recentemente pubblicato, per i tipi della Mondadori, Il nodo magico. Ulisse, Circe e i legami che rendono liberi. Ha iniziato a scrivere il saggio durante la fase saliente della pandemia e pare strano che una riflessione così profonda sulla libertà e l’amore sia nata proprio in un contesto di lockdown, ma è proprio nei momenti difficili, dove dominano le restrizioni, che è più naturale riflettere sui valori e i significati profondi della nostra esistenza.
Forse adesso è il tempo di scoprire nuovamente la potenza dei legami, perché solo nel rapporto con l’“altro”, nei suoi molteplici piani, si è liberi. In questa prospettiva, la soggettività di Ulisse, che si cimenta con le avversità, si forma anche nell’incontro con alcune donne. Forse ciò su cui non avevamo riflettuto abbastanza è il ruolo che esse hanno avuto nel percorso di ritorno a Itaca: una “enciclopedia femminile” che Cristina Dell’Acqua ci presenta con parole profonde e appassionate.
Nel tuo libro ci offri un nuovo versante interpretativo dell’Odissea, puoi spiegarcelo?
Il mio libro non è una riscrittura dell’Odissea, ma è una narrazione di una parte dell’Odissea che in questi anni mi ha molto affascinata e su cui ho cominciato a scrivere prima del lockdown. È la parte femminile che si sviluppa nel momento in cui Ulisse, durante il ritorno a Itaca, incontra quattro donne che sono fondamentali e cioè Nausicaa, Circe, Calipso e Penelope. Il ritorno attraverso queste figure mi è piaciuto particolarmente, perché Ulisse tramite questi incontri, per meglio dire in ognuno di essi, ricostruisce un pezzo di sé stesso. In questa prospettiva, il ritorno mi è piaciuto per almeno due motivi. Il primo è che, dal punto di vista della struttura dell’Odissea, questa è una parte nodale. Attraverso gli incontri, egli ricostruisce un pezzo di sé stesso, tramite la relazione. Poi torniamo su questo aspetto. Ma in assoluto – e questo è il secondo motivo – quello che io ho trovato di interessante è che nell’Odissea c’è una sorta di enciclopedia femminile. L’Odissea, infatti, è una parentesi fortunata all’interno di una cultura arcaica che era sostanzialmente misogina, per cui generalmente non era certo questo l’atteggiamento nei confronti delle donne. Ma nei confronti di queste figure femminili Omero, chiunque egli sia stato, usa un’altra grazia, un rispetto diverso. Probabilmente riserva loro quest’atteggiamento perché sono dee, a parte Penelope, e sono donne fuori della realtà, ma il tema è che sono donne indipendenti che compiono scelte. Inoltre, ognuna rappresenta un tipo diverso di femminilità: Nausicaa la freschezza dell’età, mentre Calipso è la donna che si impone; Circe è una maga, una affascinante simil strega, che però è capace di lasciare Ulisse libero e Penelope, infine, è una donna che aspetta, ma è anche una donna stratega che sa come aver cura della propria realtà e sa proteggerla. Dal mio punto di vista – ed è una cosa che ho cercato di insegnare alle mie studentesse – è come se Omero ci stesse mettendo sul tavolo i diversi tipi di femminilità di cui siamo composti. Naturalmente questo vale anche per gli uomini, ma da un punto di vista squisitamente femminile, noi funzioniamo come donne quando ci prendiamo cura di questi aspetti di cui siamo composti e che convivono con noi, magari in fasi alterne. Mi piace sempre aggiungere alle mie giovani studentesse che noi sappiamo dare il meglio quando non ci cambiamo in altro, quando non ci trasformiamo in uomini, che non siamo, per farci valere pensando che quello sia l’unico modo per far riconoscere la nostra autorità. Mi sembra che Omero ci rappresenti esattamente questo: la femminilità è la nostra forza. Ma il tema è quello: le cose funzionano quando ognuno è sé stesso.
Puoi descriverci più nei particolari i singoli personaggi femminili?
Nausicaa è una fanciulla bellissima, giovane, che Ulisse si trova davanti nel momento in cui egli sostanzialmente rinasce, a seguito dell’ennesimo naufragio da cui si è salvato. Egli è solo, nudo e disarmato, è un naufrago simile a un immigrato, e non sa chi egli sia né dove sia; non sa se si trovi di fronte ad amici o nemici. Incontra questa ragazza che è rimasta sola, perché tutte le altre ancelle sono scappate. E l’incontro avviene tra due personaggi statuari: lui che sta cercando di capire dov’è, mentre lei lo accoglie. Il tema è proprio quello dell’accoglienza, ma è anche quello dell’innamoramento di Nausicaa e del fatto che questo innamoramento non potrà essere portato avanti. Ciò, tuttavia, rappresenta un momento di crescita per Nausicaa medesima, che sogna in questo uomo il suo futuro, ma che poi accetta il destino. Ulisse, infatti, che arriva nella terra dei Feaci e nella famiglia di lei, ricorderà chi è durante un banchetto che viene dato in suo onore dai genitori di Nausicaa, che sono Alcinoo e Arete, il re e la regina. Ciò accade mentre un aedo canta le gesta della guerra di Troia e racconta di Ulisse, non sapendo di averlo davanti. Ed egli, quando sente parlare di sé stesso, piange. Trattiene le lacrime a fatica, lo nota solo Alcinoo, che capisce chi è l’ospite. Quello è il momento topico della memoria, che si libera di tutto quello che lui ha rimosso e, da “Nessuno” che era, diventa Ulisse. Quindi Nausicaa è al centro di un momento fondamentale per Ulisse.
Veniamo a Calipso.
Calipso è una donna bellissima, una divinità presso la quale rimane sette anni, che gli regala un altro aspetto personale che è centrale: nel momento in cui lei, pur di averlo, gli promette l’immortalità e di non fargli conoscere né vecchiaia né malattia, lui rifiuta perché non è quello che vuole in quel momento e che verbalizza. Egli non vuole essere immortale, ma essere eterno e cioè lasciare un ricordo permanente in tutto quello che lui ama e che costudisce. Nel parlare lui rivela un’abilità oratoria eccezionale e, fra l’altro, fa un elogio della vecchiaia. A Calipso dice che riconosce tutta la bellezza di cui lei è fatta. Per contro, sa bene che è passato il tempo e che non troverà la Penelope giovane, la ragazza che ha lasciato, ma lui rimane con Penelope e quel mondo. Rivuole la sua vita e tutti i legami, con i loro limiti.
E Circe?
È la maga che tutti noi conosciamo, la maga dalla voce umana. Anche l’aspetto è quello di una maga, ma lei, dentro di sé, ha tenuto in caldo dei sentimenti. Teniamo presente che Ulisse rimane un anno da Circe e quella è l’unica esperienza che lo fa vacillare, al punto che pare aver dimenticato il suo obiettivo ultimo cioè Itaca, tant’è che a un certo punto arrivano i suoi compagni a smuoverlo dal torpore. Circe quale aspetto gli regala? Gli regala la libertà dal legame perché, come avviene con Nausicaa, Ulisse deve riprendere il suo viaggio e Circe fa questo gesto che è tra i più difficili: quando si ama qualcuno, lo si deve lasciare andare. Parlando con lui in una ultima notte di dialogo, forse in una notte intensa di amplessi, gli dà quello che possiamo avere quando siamo persone libere e siamo amati. Nel mito gli offre le direttive per affrontare il viaggio nell’Aldilà, per uscire vivo dall’incontro con le sirene e per salvarsi anche nel passaggio tra Scilla e Cariddi. Quelle tre prove sono gli elementi grazie ai quali noi possiamo spiccare il volo ed entrare un po’ in quello che siamo e cominciare a ragionare sui desideri, quali siano da assecondare e quali no. Comunque, Circe è la donna che gli dona questo aspetto di libertà.
Poi c’è Penelope.
È uno di quei personaggi che si amano con l’età, perché la si scopre non come una donna passiva, ma viceversa come una donna stratega, forse anche più capace del marito. Attiva, molto forte nel mantenere saldo il suo mondo, dove c’è anche Ulisse, ma non solo lui. Grazie a Penelope, noi abbiamo una delle immagini più belle e più significative di quello che può essere il senso di una relazione sentimentale nella vita. Perché nella scena finale, dopo il riconoscimento e dopo che Atena li ha resi tutti e due più belli e ha fatto in modo che la notte duri più a lungo, i due si raccontano. Soprattutto Ulisse narra i dieci anni, tacendo solo di Nausicaa. Magari un vizio filologico, un vizio di composizione, ma il dato è che tace il nome di Nausicaa, che gli aveva chiesto di mantenere il ricordo di lei una volta tornato in patria. Poi accade qualcosa che a me piace evidenziare ai miei studenti, perché è un augurio, dal momento che la vita non la “maneggiamo” noi, ed è questo: durante questo racconto i due si ritrovano. Ciò accade quando, aldilà degli anni e delle fatiche, si ha la capacità di rivedere la persona che è accanto a noi come al momento in cui la si è conosciuta. Nella vita è difficile rivedere le cose perché, quando sei giovane, hai quell’enfasi che nasce dall’idea che l’amore e la passione non spariscano mai, ma non sai che quei sentimenti, invece, possono assumere nel tempo altri aspetti. In determinati momenti è possibile ritrovarli ed è una cosa bellissima.
Vorrei che tu ricordassi la vicenda della discesa nell’Ade.
Dal punto di vista letterario essa è fondamentale, perché c’è un dialogo meraviglioso con le anime. Pensa quale genialità… Esse, da morte, sono prive di memoria e la riacquisiscono nell’incontro con Ulisse al suono della sua voce. Lì si rianimano. Il momento in cui Ulisse scende dura solo una notte. Più incontra personaggi e più scende. Rivede i compagni d’arme di una vita, Agamennone, Achille il quale dapprima gli chiede se il figlio abbia combattuto valorosamente e si sia comportato da eroe. Una volta rassicurato, gli dice che, da quando è lì, lui preferirebbe essere schiavo dell’ultimo degli schiavi, ma avere una vita più lunga. C’è proprio una riflessione profonda sul senso della vita, tra Iliade e Odissea. E poi vede la madre, la quale si terrorizza, perché pensa che egli sia lì perché morto, ma anche lui si terrorizza, perché non sa che la madre è morta di crepacuore, proprio per la sua lontananza. Poi si assiste a un dialogo commovente che coinvolge il lettore, sia colui che ha la fortuna di avere ancora la madre in vita sia colui che, purtroppo, l’ha persa. Il tema di cui i due parlano è quello della morte e la madre la descrive in maniera cruda dal punto di vista anatomico e questo è un passaggio che forse solo una mamma può far fare a un figlio, questo ragionare sul tema della morte. I Greci l’avevano polarizzato nel binomio amore e morte, che sono due sentimenti opposti ma non troppo, quando si prova passione e pathos. Ella ricostruisce questo aspetto, negli inferi, parlando di amore, di affetti, di paternità… Sono tutti elementi che fanno parte di una logica familiare. Ulisse ne esce rinfrancato, proprio perché ha affrontato anche questo tema. Poi c’è una bellissima scena finale in cui i due cercano di abbracciarsi per tre volte, ma nell’aldilà, per le anime, questo non è possibile. È una scena di grande impatto emotivo. Ma, dalla discesa, Ulisse esce rinfrancato, ricostruito, come quando si riesce a riportare alla memoria – e questo può accadere a chiunque – qualcosa che abbiamo rimosso o dimenticato. Tutto ciò libera. Forse è per questo che la psicanalisi si è nutrita di questi temi.
Parlaci di Telemaco.
È geniale l’idea che l’Odissea, che ha come protagonista Ulisse, cominci con Telemaco. I primi quattro libri, infatti, sono dedicati al figlio. Noi incontriamo Ulisse per la prima volta nel quinto libro, quando è da Calipso e vuole andare via. Il primo impatto è quello della ricostruzione parallela, quella del figlio, che è stato con Penelope a Itaca, senza aver avuto notizie del padre. La trama iniziale racconta che il figlio cerca notizie del padre, l’unico esule di Troia che ancora non è ritornato in patria. Si muove, così, sulle sue orme e fa un percorso parallelo. Va a incontrare gli amici importanti del padre e da tutti ascolta i racconti e ha a che fare anche con Elena. I racconti indiretti gli consentono di ricostruire il padre attraverso il ricordo che gli altri hanno di lui. Anche questo è meraviglioso: abbiamo bisogno di sapere molte cose delle persone che noi amiamo, in particolare dei genitori, del loro grado di reputazione, di stima e della capacità che hanno avuto di dedicarsi agli altri nel mondo. Questo è ciò che accade a Telemaco ed egli si rinfranca conoscendo suo padre, l’amore che egli aveva avuto per la sua terra, la sua capacità di difendere e di proteggere, combattendo. Telemaco ha bisogno di ricostruire la figura del padre che sostanzialmente non ha mai visto, perché se n’è andato via nei primi decenni della sua vita. Inoltre, Ulisse forse è andato via contro la sua volontà. Bisogna ricordare, infatti, che si tratta di un uomo il quale, quando è stato il momento di partire per Troia, finge di essere pazzo cioè di non essere abile per le armi. Quando vengono i suoi compagni per prenderlo, sta arando e seminando sale nel terreno. Poi gli amici gli mettono davanti Telemaco e lui non può che rinsavire. Anche Achille aveva fatto qualcosa di analogo. Tutto questo generalmente lo si collega alla sua astuzia. Mi chiedo, tuttavia, se quella di Ulisse sia astuzia oppure sia la preveggenza di un essere umano che sa cos’è la guerra. Mi pongo questa domanda forse perché avevo un nonno che è stato prigioniero in Russia e anche perché stiamo vivendo questo momento… Dunque, mi viene da dire: è astuzia quella di Ulisse o è la preveggenza di un essere umano che sa cos’è la guerra e che fa tutto ciò che è possibile per evitarla? È un racconto che io trovo molto borderline: dal punto di vista della civiltà omerica, l’uomo deve essere l’eroe che va a combattere ma, dal punto di vista umano, è anche sano il terrore di colui che sa che cos’è la guerra e che cosa essa comporti.
Parliamo adesso di Tiresia, che è un indovino, uomo e donna al contempo…
Tiresia è una costruzione mitologica molto affascinante per cui egli ha avuto in sorte di partecipare alla natura dell’uomo e a quella della donna. È stato maschio e femmina. Egli non è un uomo qualunque, ma è un indovino che sa vedere il futuro. Sa fare quello che ognuno di noi vorrebbe e cioè capire in anticipo quello cui andiamo incontro, quando facciamo qualcosa che è aldilà delle nostre abitudini. Approfondendo la questione – e consiglio a tutti di leggere il meraviglioso testo di Camilleri dedicato a Tiresia (Conversazioni su Tiresia, ndr) – l’idea che la conoscenza perfetta derivi da un essere umano che ha dentro di sé entrambe le nature è molto profonda. Credo che si torni a quell’antico tema umano per cui ognuno di noi ha dentro parti diverse. Io donna ho dentro di me una parte di sensibilità maschile e, viceversa. È la composizione di queste due anime che ci fa essere completi. Dal punto di vista sentimentale ne prevale una. Ma dal punto di vista emotivo, relazionale e decisionale, la conoscenza, che deriva dalla fusione di queste due nature, ha una marcia in più.
(Alessandro Artini)
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