“I testi hanno una storia nella biografia di un autore. Non fanno eccezione anche i saggi che costituiscono il volume”. L’ultimo lavoro di Massimo Borghesi Ateismo e modernità (Jaca Book, 2019), non è solo una raccolta di saggi sui maggiori filosofi cattolici del Novecento, da De Lubac a Maritain, da Del Noce a Cornelio Fabro, che hanno animato il dibattito in Italia e Francia intorno all’ateismo moderno e alle sue cause. Tale dibattito infatti non è estraneo alla prospettiva del nostro autore, dal momento che, come lui stesso racconta nell’introduzione al volume, “mi iscrissi al corso di laurea di filosofia dell’Università di Perugia, con il segreto proposito di chiarirmi le idee sul mio ateismo di allora”. Da questo punto di vista, il volume si colloca al cuore della sua vicenda intellettuale e ne rappresenta l’approdo più maturo.
Eppure il filone ateo-razionalista sorto con l’Illuminismo sembra essersi chiuso il 25 dicembre 1991, nel momento in cui veniva ammainata la bandiera rossa dell’Unione Sovietica al Cremlino, espressione del tramonto del comunismo non solo come potenza mondiale, ma anche quale pensiero che ha rappresentato l’ultima forma di ateismo del razionalismo moderno. La storia dell’ateismo è dunque la storia di una tragedia, per dirla con Cornelio Fabro, il grande filosofo italiano che, presentando la storia del pensiero ateo, scriveva Incipit tragoedia hominis moderni.
Tuttavia, a differenza di Cornelio Fabro, Borghesi individua la causa dell’ateismo non all’interno del filone razionalistico e immanentistico legato tradizionalmente a Cartesio, ma all’interno delle vicende che riguardano il cristianesimo “moderno” del XVI e del XVII secolo. È qui che per Borghesi va cercata la vera radice dell’ateismo europeo, incarnato, per tutta una serie di autori che vanno da Goethe a Nietzsche, dal mito di Prometeo, espressione di un’umanità matura che si ribella e di cui proprio l’ateismo costituisce l’ultimo stadio, quello della definitiva uscita dall’infanzia dell’umanità.
Diversamente dalle grandi narrazioni offerte, pur con valutazioni opposte, sia da parte razionalistica che cattolica, un passaggio così traumatico da un modello teocentrico ad uno antropocentrico, che non ha analogie in altre parti del mondo, richiede per Borghesi una riflessione più articolata che includa l’utilizzo di altre categorie, se non altro perché “la storia della religione nell’era moderna non può esaurirsi in una spiegazione unicamente filosofica”. In altre parole, la genesi dell’ateismo moderno non si colloca all’interno del processo potenzialmente ateo del principio di immanenza, iniziato con Cartesio e destinato nei secoli successivi a compiersi con il trionfo della ragione illuministica; piuttosto, ad avviso di Borghesi, l’ateismo si è generato in Europa nel solco delle guerre di religione che hanno insanguinato il continente tra il XVI e il XVII secolo fino alla pace di Westfalia.
Questi secoli, lungi dall’essere anticristiani, rappresentano un tempo in cui l’Europa è ancora cristiana, sia dal punto di vista delle idee, con Cartesio, Pascal e Malebranche, che da quello dell’arte, con Michelangelo e Caravaggio, che infine della musica con Bach, e dimostrano come l’ateismo in sostanza non dev’essere fatto coincidere, come invece spesso è accaduto, con la modernità tout court.
La “prima modernità” infatti, non sorge come affermazione del regnum hominis contrapposto al medievale regnum Dei, ma come era di rottura di quella unità spirituale, come cioè epoca tragica in cui si frantuma la respublica christiana europea a causa dell’ostinata lotta di religione. La genesi del pensiero ateo moderno si collocherebbe per Borghesi proprio qui, nella crisi epocale interna al mondo cristiano esplosa con le guerre di religione e non nella orgogliosa autoaffermazione di sé dell’uomo moderno. Proprio la scissione politico-religiosa metterà in crisi l’umanesimo cristiano, favorendo la strumentalizzazione della religione da parte dello Stato al fine di ottenere protezione, e generando in tal modo un dualismo tra la dimensione della fede e quella della storia che lacererà il tessuto cristiano europeo.
Questo è, nello stesso tempo, l’orizzonte inglobante della riflessione filosofica del Seicento che, in Cartesio come in Pascal, si fa promotrice di una rottura dell’unità tra anima e corpo, interno ed esterno, filosofia e politica, in modo speculare al nuovo indirizzo politico-pratico in stile machiavellico seguito dai Sovrani. La filosofia cartesiana del Seicento è dunque un riflesso della situazione storica che caratterizzerà l’Europa nei secoli del conflitto religioso, e non l’espressione di un supposto paradigma matematizzante.
Letta in questa luce, la modernità non si presenta come un insieme unitario nel suo sviluppo ma va distinta in due momenti ben differenti: la prima, quella della scissione politica religiosa, e la seconda, questa sì razionalistica e illuministica, che presuppone la messa tra parentesi della fede come metodo di risoluzione dei contrasti, nell’ottica di un’unificazione della dimensione etica e politica che procede non più dalla religione ma dalla Ragione. Anche se i due momenti si susseguono, essi, nella riflessione di Borghesi, non coincidono.
L’ateismo dunque nasce come reazione al contesto tragico delle guerre di religione e del modello teologico-politico proprio dell’Ancien Régime, tanto che Schneider può concludere che siamo di fronte “al paradosso per cui le guerre di religione che ufficialmente vennero combattute per amore della religione contribuiranno a diffondere l’ateismo”.
Le riflessioni proposte da Borghesi hanno infine il particolare merito di gettare una luce sul nostro presente. L’autore infatti mette in guardia da un certo ritorno della dimensione religiosa strumentale alla contrapposizione politica, secondo una tendenza sempre più diffusa di fronte alla crisi della globalizzazione. Egli sottolinea, ad esempio, come la reazione ideologica dei neoconservatori americani di fronte al terrorismo islamico, ai tempi dell’amministrazione Bush, abbia lasciato spazio ad un ritorno del pensiero ateo e razionalista, che, come nella “seconda modernità”, si propone di poter risolvere i contrasti neutralizzando la religione, e mettendo così in discussione il positivo e risolutivo rapporto, proprio del Vaticano II, tra la dimensione sovrannaturale della fede e la libertà.