“Rinunciare alla speranza; non è forse questo il male più terribile? Per quanto siano grandi le torture che si devono affrontare, è solo se perdi la speranza che diventi preda del diavolo… Quando mi resi conto di queste cose, il mio animo ritrovò la pace e fui certo che, se anche avessero voluto torturarmi a morte, lì, su quel patio di bambù, io ero pronto”.



Queste sono le ultime parole di Yujiro Domenico Moriyama, di 14 anni, pronunciate il 16 gennaio 1871 prima di morire per le torture subite nel luogo chiamato il Passo della Vergine di Tsuwano, nel sud del Giappone. Le ha raccolte Takashi Paolo Nagai, medico e scienziato giapponese, sopravvissuto al disastro atomico, morto nel 1951. Sono ora riportate, con altre testimonianze, nel libro Il Passo della Vergine. Storia dei martiri cristiani di Tsuwano (San Paolo, 2024) con la prefazione dell’arcivescovo di Hiroshima Alexio Shirahama Mitsuru, curato e tradotto da Gabriele di Comite. Il dottor Nagai, di formazione materialista e atea, si era convertito al cattolicesimo dopo un lungo percorso che lo aveva condotto a frequentare la comunità cristiana di Nagasaki e a conoscere Midori Moriyama, sua futura sposa.



La famiglia di Midori discendeva da quei “cristiani nascosti” che per oltre duecento anni avevano custodito e tramandato segretamente la fede cattolica per sfuggire alle leggi repressive del governo giapponese che vietarono la professione della fede cristiana e chiusero le frontiere agli europei, e che furono all’origine di tre grandi persecuzioni tra il 1596 e il 1644. Esse ripresero quando le autorità scoprirono l’esistenza di questa Chiesa sotterranea. Nagai ripercorre la storia dei cristiani di Urakami, un quartiere a nord di Nagasaki, deportati, tra il 1868 e il 1873, presso un tempio buddhista al Passo della Vergine di Tsuwano, dove subirono feroci torture allo scopo di indurli a rinnegare la fede. Nella “quarta persecuzione” di Urakami furono deportati in venti campi sparsi per il Paese 3.414 tra uomini, donne e anche bambini. Di loro, 664 trovarono la morte per le torture inflitte e 1022 cedettero e abiurarono. I martiri di Tsuwano furono 37. Nel libro si leggono i loro nomi, l’età e la data del martirio.



In un recente viaggio in Giappone con un gruppo di amici, siamo saliti, percorrendo un breve sentiero, al Passo della Vergine. Giunti nella piccola radura, la nostra attenzione è stata subito attratta da una gabbia cubica a sbarre di un metro di lato, posata a terra, all’interno della quale abbiamo visto una statua di un uomo rannicchiato, di dimensioni normali e davanti a lui, poco sopra, la statua della Vergine. Il monumento, ci spiegano, rappresenta la condanna a cui era stato sottoposto un uomo di 30 anni, e, come lui, altri prigionieri che erano lasciati in queste condizioni senza poter dormire, con poco cibo e al freddo fino a morire. Un suo compagno, di notte, era riuscito a scavare un buco sotto il pavimento di legno della sua cella a pochi metri dalla gabbia per andare a visitare l’amico.  Gli disse che doveva sentirsi solo così rinchiuso; ma lui gli rispose che “non era affatto solo perché ogni giorno, a partire dalla mezzanotte, andava a trovarlo una donna vestita di un abito azzurro e con un velo dello stesso colore, il cui volto assomigliava a quello di Santa Maria, e gli teneva compagnia con i suoi racconti fino alle prime ore del mattino”. Tre giorni dopo morì. Quel luogo già anticamente era noto come il Passo della Vergine, ma ora quel nome rivelava la sua piena pertinenza.

La lettura del libro ci fa conoscere uomini, donne e bambini sostenuti da una fede vissuta con grande semplicità; Mori Caterina Iwanaga fu portata in giudizio quando aveva 5 anni e sarebbe morta l’anno successivo. I funzionari le chiesero di rinunciare alla fede della sua famiglia in cambio di dolci deliziosi. Lei rispose: “La mamma ha detto che se non siamo più cristiani non andiamo in paradiso. Se vado in paradiso ci saranno cose molto più buone di questi dolci”.

Una grande fede, una fede “ingenua” quasi immediata che non distoglie lo sguardo sul passato e sul presente, ma che lo trasforma per vivere in questo mondo la speranza che è il più grande mistero dell’uomo. “La bambina Speranza”, la chiama Péguy, “una bambina da nulla” che dà senso al presente amando “quello che sarà”. La Vergine Maria che fa compagnia al giovane condannato nella gabbia con i suoi racconti diventa la Regina della speranza nella sua vicinanza carnale agli uomini e nella sua purezza che la unisce al cielo. Nelle testimonianze riportate c’è un impeto di gratuità, di letizia e di libertà che diventano segno e testimonianza di pace nella consapevolezza del dono della speranza. Abbiamo letto: “Quando mi resi conto di queste cose, il mio animo ritrovò la pace e fui certo che, se anche avessero voluto torturarmi a morte, lì, su quel patio di bambù, io ero pronto”.

Pochi uomini, pochissimi cristiani in un contesto religiosamente ostile. Yujiro, leggiamo nel libro di Nagai, venne legato a una croce e abbandonato completamente nudo sul ciglio di una strada di passaggio. Fu poi costretto a stare seduto, sempre nudo, sulla veranda di bambù del tempio, legato e fustigato. Fu per lui una grandissima umiliazione che lo fece soffrire ancor più del gelido vento che soffiava da nord. Nemmeno doveva essere comprensibile per la gente comune la causa che animava quelle persone. Proprio questi cristiani inconsapevolmente innescarono una crisi internazionale. Le notizie delle torture ai deportati per la loro fede, si legge nell’ultimo capitolo del libro, giunsero in occidente e il Giappone venne aspramente attaccato sugli organi di stampa mondiali. Il governo si rese conto che il problema della libertà di religione diventava un ostacolo per la revisione dei “trattati ineguali” sui commerci che le potenze straniere avevano imposto al Paese dopo l’intervento americano del 1853. Nel 1873 il governo levò i bandi contro la religione cristiana e i fedeli che erano stati deportati da Urakami poterono ritornare alle loro terre.

La forza della speranza non sta in un progetto, ma nell’attraversare il buio in tutto il suo degrado umano e materiale per consolare, certamente, ma ancor più per accendere la vita, come ha scritto Paolo Prosperi commentando i Misteri di Charles Péguy (Mistero dei misteri. La speranza secondo Péguy, Scholé). Proprio pensando ai martiri, nel Mistero dei santi innocenti, Péguy scrive: “Ebbene sì, dice Dio, / tutto quello che potrei mettere sui bordi delle labbra / delle piaghe dei martiri / sarebbe il balsamo, e l’oblio, e la notte. / E tutto finirebbe in stanchezza, (…) / se non ci fosse la mia piccola speranza. / È solo grazie alla piccola speranza che l’eternità sarà”.

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