Si fa – giustamente – un gran parlare dell’Intelligenza Artificiale (IA) e delle implicazioni scientifiche, economiche, sociali ed etiche collegate al suo impiego nei più disparati campi e nelle più immaginifiche applicazione in cui – con i tempi della tecnologia – sicuramente farà capolino. Sì, perché l’impiego dell’IA ormai non è più un tema del “se” o del “come”, bensì, una questione del “quando”, con il suo portato di “quanto”.
Se infatti l’IA è ormai una realtà in molti campi e la sua ulteriore diffusione è legata – pressoché esclusivamente – all’efficacia della ricerca e alla convenienza economica nell’impiego, tutt’altro valore riveste la questione dell’incidenza che essa potrà avere nel tessuto sociale. Incidenza connessa a doppia mandata con la rapidità di diffusione. Tempo ed incidenza (quando e quanto) rappresentano un binomio inscindibile quando si parla di sviluppo tecnologico, comunque, lo si voglia coniugare.
Ciò è drammaticamente evidenziato dallo sconvolgimento dell’equilibrio naturale collegato ai cosiddetti “cambiamenti climatici”, dovuti – come ben noto – a uno sviluppo industriale vorticoso e fulmineo rispetto alla capacità di risposta dei vari micro-ecosistemi territoriali e, più in generale, del macro-ecosistema Terra.
Con l’IA il rischio è pressoché identico con conseguenze per il genere umano, se possibile, più profonde. Dipenderà infatti dalla rapidità con la quale l’IA sarà impiegata in tutti i settori che hanno a che vedere con la vita di tutti i giorni, la sua capacità di influenzare, condizionare e orientare la cultura: quel substrato di valori, saperi, conoscenze, esperienze che costituiscono le fondamenta della storia di una comunità e, singolarmente, della vita di ogni cittadino. Anche l’aspetto molto attenzionato dalle istituzioni statali e religiose – padre Paolo Benanti, presidente della Commissione sull’IA del Governo in primis – sul “chi” avrà accesso – per così dire – alle leve di tale potentissima tecnologia, sembra rivestire una questione, seppur importante, secondaria rispetto al tempo e quindi all’incidenza che l’IA potrà avere sull’intera società.
In quest’ottica la domanda inevitabile risuona più o meno in questi termini: l’impiego dell’IA darà un tempo sufficiente alla dimensione culturale della nostra società per assorbire, elaborare e gestire le innovazioni, oppure costituirà un vero e proprio tsunami capace di “egemonizzare” in tutto e per tutto l’essenza stessa della nostra cultura? Immaginare un futuro nel quale la formazione dei giovani sia fondata su strumenti culturali (a partire dai libri) elaborati da algoritmi e da algoritmi di algoritmi appare assai problematico, da costituire forse il problema fondamentale (proprio perché interessa le fondamenta: la scala dei valori delle varie culture mondiali) connesso con l’impiego e la diffusione dell’IA.
Non si tratta, infatti, della fantomatica “doppia lama” collegata all’utilizzazione di ogni tecnologia (dal fuoco, al coltello, all’energia atomica) a fini di bene o di male. L’IA risponde a tutt’altra logica: in luogo di edificare o distruggere, sostituisce ed egemonizza. Ecco la novità che esalta e caratterizza questa nuova tecnologia evidenziando, come non mai, la chiave del “tempo”. Alla saggezza con cui verrà gestita questa chiave sarà demandata la possibilità di evitare, dopo la “crisi climatica”, una più ampia e drammatica “crisi algoritmica”.
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