C’è un racconto del Talmud (Bava Metzia 59a-b) che meglio di qualunque spiegazione illustra il rapporto della cultura ebraica con il testo sacro.
Durante una discussione fra rabbini sull’interpretazione di un passo della Torah, rabbi Eliezer ben Hyrcanus chiese a Dio di confermare la giustezza della propria lettura inviando alcuni segni miracolosi e addirittura esprimendosi direttamente con una voce dal cielo. I miracoli effettivamente si realizzarono e dal cielo si udì Dio stesso annunciare che rabbi Eliezer aveva ragione. Ma questo non bastò agli altri rabbini, secondo i quali dal momento in cui la Torah era stata data sul Sinai non apparteneva più solo al cielo e inoltre, come sta scritto nella Torah, è la maggioranza a decidere. Eliezer perse dunque il dibattito nonostante Dio gli desse ragione. Quale fu la reazione di Dio? Il Talmud narra che il rabbino Nathan lo chiese tempo dopo al profeta Elia; “Ha sorriso”, rispose Elia, “e ha detto: i miei figli mi hanno sconfitto, i miei figli mi hanno sconfitto!”.
Nella Bibbia ebraica la Torah è il nucleo centrale del messaggio divino, ma non costituisce il solo testo di riferimento dell’ebraismo. Insieme ad essa, che è detta Torah Scritta, l’ebraismo ha una lunga tradizione di interpretazioni dei precetti biblici come norme da applicare alla vita concreta. Si tratta di una tradizione trasmessa originalmente in forma orale e chiamata per questo Torah Orale.
La Torah Orale è un commento alla Torah che spiega come devono essere messi in pratica i suoi comandamenti. Si tratta di una componente necessaria perché nella Torah ci sono 613 comandamenti che non sono sempre facilmente interpretabili.
Per secoli la Torah Orale venne trasmessa dai tannaìm (in aramaico “insegnanti”) senza nessuna redazione scritta. Tuttavia dopo la terza guerra giudaica (132-135 d.C.), Yehudah HaNasi, un rabbino tanna, decise di fare una redazione anche della Torah Orale. Da qui nasce la Mishnah, cioè i sessantatré trattati in cui la legge ebraica è codificata. Durante i secoli successivi alla redazione della Mishnah, il lavoro di interpretazione venne continuato da altri rabbini chiamati amoraim (“quelli che spiegano” o “interpreti”) che raccolsero le discussioni e i commenti sulla Mishnah in una serie di libri che prendono il nome di Ghemarà (“apprendimento”). Una serie di testi vari, gli Haggadah, aggiungono poi informazioni fungendo da guida alla lettura. Il tutto venne di nuovo riscritto durante il medioevo da Rabbi Shlomo Yitzhaki (Rashi) che cercò di spiegare le parole e la struttura logica di ogni passo talmudico. A partire dal commento di Rashi vennero successivamente elaborati degli approfondimenti ulteriori detti Tosafot, che significa appunto: “aggiunte”.
Interpretazioni di interpretazioni dunque. Emmanuel Lévinas ricorda che il Talmud non è però un semplice prolungamento della Bibbia, né una spiegazione dei suoi simboli. Piuttosto la sua struttura dialettica testimonia che l’interpretazione non può essere mai conclusa. Come se Dio avesse voluto comunicare che la verità non è data una volta per tutte ma è frutto di continue riletture, riscritture e interpretazioni umane che si comprendono a partire dall’esperienza della vita (Emmanuel Lévinas, Quatre lectures talmudiques, Parigi, Les Éditions de Minuit 1968, p. 20).
Un Dio dunque che forse non apprezza una sua rappresentazione tradizionale e cerca un rapporto diverso con l’uomo. Ma diverso in che senso? Qui è ancora Lévinas che ci viene in aiuto. In Una religione per adulti scrive: “Ma tutto il suo (del giudaismo) sforzo – dalla Bibbia alla chiusura del Talmud nel VI secolo e attraverso la maggior parte dei commenti della grande epoca della scienza rabbinica – consiste nel comprendere la santità di Dio in un senso che rompe con il significato numinoso del termine” (Una religione per adulti, in Difficile libertà, Milano, Jaca Book 2004, pp. 17-46). Rompe cioè con l’idea di un Dio misterioso e tremendo che impone all’uomo il suo volere. Tale potenza del divino appare al giudaismo come qualcosa che è contro la libertà umana. Una libertà che non è un fine in sé stessa ma che è il punto di riferimento di ogni valore cui l’uomo possa aspirare. In questa libertà si determina il rapporto fra Dio e l’uomo anche per quanto riguarda la Torah.
In questo senso il Talmud è per Levinas un confronto continuo, un dialogo mai esaurito. La lettura interpretativa del Talmud va dunque sempre oltre il testo aprendosi a un senso che sta oltre il dire perché le interpretazioni escono dalla logica vero-falso e accettano una logica dell’interrogazione che non porta necessariamente a una risposta. I testi devono essere interpretati tenendo conto del fatto che ogni lettura, ogni interpretazione solleva una nuova domanda, che richiede di nuovo un’interpretazione, perché il testo chiede una relazione che è sempre interpretativa.
Torniamo alla storia con cui abbiamo cominciato. Forse i miracoli e la voce di Dio furono solo frutto di immaginazione, ma non c’è alcun dubbio che nel Talmud l’interpretazione umana e lo spirito critico acquisiscono un ruolo importante nel determinare il significato del testo sacro e di conseguenza di ogni testo. Non servono miracoli e nemmeno la voce di Dio, perché è solo degli uomini il potere di dare un significato alla rivelazione.
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