Cesare Cavalleri, direttore di Studi cattolici dal 1965 e ancora oggi al timone della rivista, rimane fortemente colpito apprendendo dai giornali che Arrigo Cavallina, suo ex alunno di ragioneria, è dietro le sbarre: affronta il processo “7 Aprile” con gravissimi capi di imputazione. Cavallina è stato tra i fondatori dei Pac, i Proletari armati per il comunismo, che negli anni Settanta concentravano i loro attacchi contro il sistema carcerario e i suoi esponenti. Il più tristemente noto dei Pac era Cesare Battisti, tra l’altro “arruolato” alla lotta politica proprio da Cavallina.



Sono passati vent’anni dall’ultimo incontro tra il professore e quello che era uno studente in gamba, il migliore della classe, dalla grafia “minutissima”. Tra di loro non intercorreva una grande differenza di età (Cavalleri è del 1936, Cavallina del 1945) e c’era stata una grande stima reciproca, ma finito quell’anno scolastico non si erano più visti né sentiti.



Nel 1984 Cavallina è un uomo solo, in lotta con i fantasmi del passato. Non vede un futuro di fronte a sé. Soprattutto, si sente un uomo diverso da quello che scelse la lotta armata (aveva poi abbandonato i Pac nel 1979, un anno dopo la loro fondazione). Il 16 aprile riceve una lettera inaspettata nella sua cella di Rebibbia.

Carissimo Arrigo,
ti ricordi del tuo vecchio (allora giovane) professore della quinta ragioneria? […] Non so se ti fa piacere che io emerga con queste righe dalle nebbie del passato (come si dice nei feuilletons), e non mi dilungo perché non vorrei che tu scambiassi per compassione quello che per me è affetto. Se hai piacere e se puoi farlo, dimmi qualcosa. Potrei mandarti dei libri, scriverti, qualche volta venirti a trovare (vengo a Roma abbastanza spesso: chissà se è possibile vederti, non conosco le regole).
In ogni caso, sappi che non sei solo.
Un affettuoso abbraccio
dal tuo Cesare Cavalleri



“Sappi che non sei solo”. Questa frase apre una feritoia nel buio. Cavallina risponde a giro di posta. Trova uno spiraglio, si confida, si mette a nudo:

“Ho addosso la convinzione di aver sbagliato tutto, di non aver saputo capire né me né il pezzetto di storia che vivevo, allontanandomi da quello che potevo essere e da come potevo crescere, in nome di un dovere che ho sempre vissuto come sacrificio; e quindi anni e anni solo grigi, che allora mi apparivano costruzione di un futuro collettivo e oggi negazione di me e, per quanto ne sono responsabile, di altri”.

Da queste prime due lettere divampa un carteggio di straordinaria intensità (Il terrorista e il professore. Lettere dagli Anni di piombo & oltre (Ares, 2021). I due si raccontano la vita, le speranze, i libri che affrontano (dal Cavallo rosso di Corti all’Insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera, da Uno psicologo nei lager di Frankl a Cammino di san Josemaría Escrivá. Soprattutto, Cavalleri invita l’ex ragazzo ribelle a trovare un senso nel dolore (vissuto e provocato): “La tua lettera è intrisa di dolore, e il dolore non è mai vano. Adesso ti accorgi di aver commesso degli sbagli, e anche gravi: il dolore che ne provi è già purificazione, ma hai bisogno di sentirti perdonato. E chi può perdonare, se non Dio solo? Questo è il punto, carissimo Arrigo. Occorre riannodare, ripristinare il tuo rapporto con Dio, perché è Lui che tu hai colpito, direttamente o in te stesso o negli altri. È Lui che deve perdonare e non desidera altro che farlo”.

Anche grazie a queste lettere, Cavallina inizierà la sua “vita nuova”: diventerà uno dei leader della dissociazione politica dal terrorismo, si riavvicinerà al cristianesimo, con il proposito di dedicarsi in toto agli altri una volta uscito dal carcere (che riuscirà a trasformare in realtà lavorando con i tossicodipendenti del “Progetto Exodus” e sui temi della pena con l’associazione di volontariato “La Fraternità”).

Gli spunti del libro sono moltissimi. È un viaggio nella coscienza più profonda di due uomini che si parlano senza maschere. Fa toccare l’abisso di dolore lasciato dal terrorismo, ma fa anche riflettere sulla giustizia riparativa e sulla possibilità di un percorso di recupero dei detenuti. Fa rileggere i gesti di Giovanni Paolo II (il suo incontro e il suo perdono con l’attentatore Ali Agca) o le riflessioni sulla misericordia del card. Martini.

Tra i passi più toccanti, la rievocazione del dolore di Cavallina quando venne stigmatizzato dall’arringa di un Pm: “Non c’è niente da salvare della vostra vita, è solo miseria e sangue”. Questo carteggio è la testimonianza del contrario. Un uomo nella propria vita può risollevarsi dalle ceneri. E trasformare il proprio sentiero di miseria in luce.

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