L’immagine della Svizzera è spesso animata dai luoghi comuni: e non importa se si passa dagli orologi al cioccolato, dai formaggi alle banche. Magari senza chiedersi come possa prosperare un sistema politico e sociale complesso, un sistema in cui permane una forte identità nazionale nonostante quattro lingue, due religioni, ventisei cantoni ciascuno con una riconosciuta sovranità. E dove c’è una dimensione politica unica al mondo, dove tutti rispettano il principio della concordanza per cui non c’è né maggioranza, né opposizione, ma a sostenere il Governo sono tutti i maggiori partiti.



In teoria la Svizzera sembrerebbe, scusate l’ossimoro, il regno della democrazia. Anche perché le più importanti decisioni, ma spesso anche i problemi locali, passano al vaglio del popolo attraverso il ricorso molto frequente ai referendum sia obbligatori, se riguardano modifiche costituzionali, sia facoltativi su richiesta di un numero non troppo elevato di cittadini.



Eppure anche qui non mancano i problemi. La partecipazione al voto è sempre molto bassa, l’anti-politica conquista nuovi consensi, la fiducia nelle istituzioni perde quota, il populismo avanza con il miraggio di soluzioni semplici per problemi complessi.

Un richiamo, accorato e forte, a non sottovalutare questa dinamica viene dal libro di un giurista, politico e magistrato svizzero, Dick Marty, dal titolo “Verità irriverenti, riflessioni di un magistrato sotto scorta” (Ed. Casagrande, pagg. 136, € 20). Un libro che è un profondo testamento, scritto di getto quasi l’autore avesse il presentimento della morte, avvenuta proprio pochi giorni fa, a 78 anni, tra Natale e Capodanno. Un libro in cui si raccontano i particolari di un impegno politico, nel Parlamento della Confederazione così come nell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa dove Marty ha presieduto la Commissione per le questioni giuridiche e dei diritti dell’uomo e proprio in questa funzione aveva portato avanti inchieste scottanti tra Serbia e Kosovo, tanto scottanti che i servizi segreti svizzeri erano venuti a conoscenza di un piano per un attentato costringendolo negli ultimi anni a vivere sotto scorta.



Il cuore del libro è peraltro costituito dalle riflessioni, preoccupate quanto motivate, sullo stato della democrazia, sul rispetto delle istituzioni, sulla formazione del consenso. Non solo in Svizzera. “La democrazia – scrive Marty – è qualcosa di estremamente complesso, impegnativo: è come una pianticella esile e delicata, esigente, che necessita di cure continue, che non si adatta a tutti i suoli e a tutti i climi. Sì le democrazie possono morire e dare vita a mostri terribili”. Il ricordo è quello dellaRepubblica di Weimar, una parentesi di libertà, di dialogo, di nuove iniziative nella Germania sconfitta nella Prima guerra mondiale, una parentesi che ha aperto la strada a uno dei regimi più atroci e a uno dei periodi più bui della storia europea sfociato nella Seconda guerra mondiale.

Per Marty non c’è giustamente il pericolo del ritorno del nazismo o del fascismo. Ma c’è un virus, che spesso è chiamato populismo, che continua a circolare. “È il virus dell’intolleranza, del razzismo, dell’odio verso chi è diverso, della menzogna come strumento politico, della ricerca di un conducator capace di provvedere all’ordine, darci le certezze che cerchiamo e realizzare i sogni che perseguiamo”.

Il richiamo è quello di salvaguardare la democrazia sostanziale fatta di divisione ed equilibrio dei poteri, di difesa attiva delle libertà di pensiero e di espressione, di rispetto dei diritti di tutti e di ciascuno. Le elezioni sono un elemento indispensabile, ma non sufficiente: “Come dimenticare – ricorda Marty – che i vari Hitler, Mussolini, Bolsonaro, Trump, Putin e altri hanno goduto del sostegno del popolo e vinto le elezioni?”.

Un invito quindi a riscoprire la vera democrazia e a insegnare alle nuove generazioni che “la politica non è gridare sui social, ma pensare, immaginare e costruire assieme il mondo di domani”.

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