Ci sono scrittori che ci accompagnano per tutta la vita. Senza dubbio Graham Greene è uno di questi. I suoi libri sono da leggere e rileggere, accarezzare e maltrattare. Con la certezza che non deluderanno mai. Che per quanto spolpati, riusciranno sempre a risucchiarti in un vortice di significati, fino a farti sfiorare il Mistero. Una frase, quasi un lampo, e ti viene rivelato ciò che addensa la realtà.
Una recente biografia dello scrittore inglese, Graham Greene. Il tormento e la fede (Ares 2023), riporta l’attenzione su questo strano e “incredulo cristiano”, premiato della definizione di “cattolico” in un secolo avaro di riconoscimenti di tale genere. A raccontare con puntigliosità da cronista e passione di estimatore un’esistenza con molte anse e pochi scorrevoli rettilinei, Fulvio Fulvi, giornalista di Avvenire, autore di numerosi saggi di storia del cinema, da cui nasce forse l’attrazione per uno degli scrittori più cinematografici del Novecento, e certo non solo per le innumerevoli trasposizioni in pellicola dei suoi romanzi, quanto per la struttura narrativa e lo stile da sceneggiatura con cui ha prodotto 54 libri tra il 1929 e il 1991. Tra questi autentici capolavori da Fine di una storia a Il potere e la Gloria, a Fattore umano.
Il valore delle sue opere non è in discussione, ma addentrarsi nei giorni e negli anni in cui presero corpo, cercare di comprendere le contraddizioni di una vita sempre in bilico tra fascino del peccato e ineluttabile presenza di Dio, è un esercizio utile, soprattutto oggi in cui si rafforza la tendenza ad appropriarsi con leggerezza di etichette impegnative, come “cattolico” appunto, senza di fatto averne presente la profondità delle accezioni.
Nel volume di Fulvio Fulvi la postfazione di Alessandro Zaccuri riporta proprio la pluralità di significati di “catholic” accostato allo scrittore britannico, convertitosi per amore (cattolica era la sua unica moglie, tradita un’infinità di volte sebbene mai lasciata) eppure rimasto papista e romano per convinzione. “Spia di Dio”, si definiva Greene, prendendo a prestito un’espressione shakespeariana contenuta nel Re Lear. E non solo perché come noto era stato un buon collaboratore dei servizi segreti britannici. La stessa idea di sé stesso implicava un rapporto unico e irreversibile con il Dio che aveva scelto. “Non sento molto la sua presenza, ma spero che mi stia sempre alle calcagna”, è la risposta a Marie-Françoise Allain che lo intervistava sul suo rapporto con la fede, riportata con puntualità nel volume. È la chiave per interpretare non solo lo scrittore, ma l’uomo che sta dietro il mito e la leggenda letteraria.
Romanziere amato da papi e teologi, nonostante i problemi con il Sant’Uffizio, è sempre rimasto dentro il “recinto ecclesiale” accettandone regole e limiti, persino ipocrisie, convinto che in quell’attaccamento si consolidasse la sua identità. Progressista come poteva esserlo un intellettuale nel Novecento, era ossessionato dal mysterium iniquitatis, sempre “pervaso dalla fede” da far “emergere attraverso lo scandalo perché nella disperazione si manifesta la grazia”. Si scoprono molte cose su Graham Greene leggendo la documentata biografia di Fulvi, compresa un’inattesa devozione per san Pio da Pietralcina e un’inaspettata fiducia in “un minimo di dogmi”. Ma soprattutto si racconta come il cattolicesimo, quando è autenticamente compreso, finisce per avvolgere, innervare e definire l’uomo. Oltre e nonostante le sue contraddizioni.
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