Chi ha sessant’anni o più ricorderà il gusto con cui si leggevano i romanzi di Emilio Salgari o di Mino Milani. Salgari, in particolare, riusciva a essere storicamente preciso e aveva momenti di scrittura che oggi definiremmo “splatter”. Ricordo ancora l’angoscia che mi diede l’esecuzione di alcuni compagni di Yanez ad opera di un elefante carnefice, addestrato a schiacciare le teste dei condannati.



Questo per dire che anche nel secolo scorso si leggevano romanzi che una didattica politicamente corretta vieterebbe ai giovani virgulti. I quali virgulti vanno poi a ingozzarsi di serie tv dove si vede letteralmente di tutto, dal sesso esplicito e violento al sadismo più efferato.

Manca, in altre parole, un antidoto, un contravveleno da dare ai ragazzi per insegnar loro a distinguere tra offesa e difesa, tra bene e male, nell’ottica di un’avventura che appassioni. Manca, insomma, l’epica, a parte alcuni eccezioni notevoli come Tolkien.



Vi sono diversi elementi che mancano a gran parte dei romanzi storici di oggi: una visione oggettiva e completa del periodo rappresentato; la complessità del vivere in opposizione a schematismi ideologici; l’evitare il peccato dell’“interferenza culturale”, cioè di giudicare uomini e culture con il nostro metro di giudizio; infine, una visione cristiana della storia che sia altresì aliena da trionfalismi a buon mercato.

Tutto ciò è ben presente e fermamente radicato nell’ultima opera di Matteo Soldi, “Il tramonto del quinto sole” (Ares, 2019). Forse era ancora Tolkien a dire: “Si è costretti a scrivere i libri che si vorrebbero leggere”. Diciamo allora che Soldi ha risparmiato, a tanti, la fatica di scrivere un romanzo sul mondo azteco.



Le vicende del protagonista, Cuauhtlatoatzin (Aquila Parlante), ci portano all’interno del mondo azteco e, in particolare, ai raccapriccianti rituali sacrificali che, da qualche decennio a oggi, in troppi dimenticano per dare addosso a Cortés. In quest’opera l’orrore si respira, si assapora: un mondo assolutamente spietato e disperato, dove il cannibalismo è allo stesso livello di un “barbecue”; dove bisogna estrarre cuori palpitanti e scagliarli a terra perché il sole continui a nascere ogni giorno.

Le cifre riportate da Soldi in appendice lasciano attoniti: nel 1519 furono immolate 50mila vittime al solo Huitzilopochtli. Eppure, da parte di Soldi, non c’è mai condanna o disprezzo per gli aztechi di allora, prigionieri di una religione folle. Non c’è nemmeno una benevola assoluzione che apparirebbe nauseante. Non c’è condanna, perché il lettore cammina per le strade di Tenochtitlan, naviga sulle acque del lago, si addentra nelle foreste, avverte l’odore del cibo o della decomposizione: si pensa come un azteco. Una esperienza in 5D, altro che realtà aumentata!

La storia di Aquila Parlante ricorda quella del patriarca Giuseppe, nelle sue alterne fortune. E comunque ben rappresenta lo scetticismo verso quella religione pazzesca che era, si può dire, abbastanza diffuso. Ben pochi ricordano che qualche centinaio di guerrieri castigliani (anche se erano i migliori del XVI secolo) ben poco avrebbe potuto fare senza il volonteroso appoggio di migliaia di tlaxcalani e texcoacani, stanchi di essere costretti a dare i propri giovani come vittime ai padroni aztechi. In questo senso l’impresa di Cortés, per quanto finalizzata al bottino e al potere, può essere intesa come una guerra di liberazione. Ed è altresì vero che Cortés si impegnò a fondo perché spagnoli e aztechi fossero un unico popolo e anche questo è ben raccontato nel libro.

Per quanto narrate in sintesi (ben altro spazio ci sarebbe voluto), le scene di combattimento sono rese in modo cinematografico e si finisce per ammirare il coraggio dei cavalieri del Giaguaro e dell’Aquila, dei Caimani, rivestiti delle corazze rubate agli spagnoli.

Gli stessi aztechi si convertono dopo essere stati nemici ferocissimi: ma, a questo punto, bisogna tacere per evitare “spoiler”. Perché sono proprio le ultime dieci pagine del romanzo, narrate anche queste con grande rigore storico, a sorprendere e commuovere.

Un grande plauso, dunque, al fiorentino Soldi, e alla sua fatica, resa nel modo migliore possibile. E, per il lettore di ogni età, un ritorno all’avventura e al viaggio nel tempo come abbiamo sempre desiderato fare.