C’è un motivo per il quale Niccolò è diventato machiavellico. Tra compagnie di ventura, staterelli che si auto-contengono e potenze straniere che marciano in armi, la penisola, posta in una felice posizione in mezzo al Mediterraneo, è ridotta a una pura “espressione geografica”. Francia e Spagna sono già potenze moderne, l’Inghilterra si sta preparando a esserlo, l’Olanda punta a diventare il cuore dei mercati con la saldatura tra protestantesimo e affari, l’Impero Ottomano controlla stabilmente il Mediterraneo. L’Italia si avvia a una lunga decadenza, perdendo l’appuntamento con la Storia, e Machiavelli lo intuisce.
Franco Bernini, che ha scritto il soggetto e la sceneggiatura de Il portaborse (1991) e quindi se ne intende di chi sta dietro il potere, nel suo Il trono (Edizioni E/O, 2023), presentato durante Firenze Books 2023, ricostruisce il quotidiano del segretario della Repubblica e mostra come il suo tratto distintivo, il realismo, emerga dal vivere in una realtà con molte insidie e certezze sempre più erose, certezze politiche e a breve anche religiose. Del resto, il Machiavelli ha una concezione del tempo ciclica e dunque profondamente distante dalla linearità del tempo così centrale per il cristianesimo.
Dal Basso Medioevo in poi, grazie all’allentamento della pressione da parte delle potenze continentali che avevano colmato il vuoto politico post-romano cercando di ordinare lo spazio, la penisola aveva vissuto una fioritura straordinaria con l’espansione delle libertà comunali. L’acme si colloca prima della Peste Nera. Uno dei protagonisti è il vivace Regno Normanno, tra la “Gran Costanza” (Canto III del Paradiso dantesco) e Federico II di Svevia che rilancia il Meridione come cuore mediterraneo; è proprio lo Stupor mundi a ospitare “il Notaro”, Jacopo da Lentini, padre del sonetto, dunque della poesia italiana. Il Rinascimento è stato un’ultima coda di questa felice stagione ma ha anche frenato ogni velleità nazionale; non è un caso che Gramsci veda nel Machiavelli una “reazione al Rinascimento” e il suo Principe una “volontà collettiva” concreta.
Adesso è chiaro perché il Machiavelli riponga fiducia in colui che era il peggior nemico della Repubblica Fiorentina. Cesare Borgia, il Valentino, rappresenta il tentativo di costruire uno Stato nel Centro Italia, mediando tra Francia e Spagna, sotto l’egida della Chiesa temporale, grazie alla protezione del Papa Borgia, ovvero colui che ha supervisionato il Trattato di Tordesillas per la spartizione del Nuovo Mondo. L’ultimo tentativo di dare alla Storia – e alla penisola – un corso diverso si deve a Venezia, che si espanderà fino a controllare perfino Bergamo e Ravenna ma verrà fermata dalla Lega di Cambrai.
Machiavelli muore nel giugno del 1527: fa in tempo ad aver notizia del Sacco di Roma. Oggi, come allora, la penisola vive un’epoca di perifericità, sotto la pressione esterna. “Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li medesimi”. D’altronde, il Principe ha la sfortuna di essere molto citato e poco letto.
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