Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo la Postfazione del Card. Mauro Gambetti al volume della Fondazione Fratelli tutti “Il vocabolario della fraternità. 365 parole per riscrivere la nostra umanità”, a cura di Francesco Occhetta, Bur Rizzoli, disponibile da oggi in libreria.
365 parole, una al giorno, di grandi firme religiose e non. Tra queste Jody Williams, Graça Machel Mandela, Dimitrij Muratov, Giuliano Amato, Marco Damilano, Muhammad Yunus, Massimo Gramellini, Umberto Galimberti, Mariella Enoc, Paolo Benanti, Marta Cartabia, Silvia Avallone, Gemma Capra Calabresi, Stefano Lucchini, Francesco Occhetta e altri.
Rimanere umani
In principio era la Parola. Questo Vocabolario si propone di risvegliare nella cultura contemporanea parole capaci di riscrivere insieme il senso della nostra umanità e della fraternità. Il mondo ha bisogno di parole che ci uniscano come fratelli, prima ancora di essere soci o rivali. Del resto, se il linguaggio della tecnica rischia di svuotare il senso profondo della nostra esistenza, questo Vocabolario vuole restituirci il significato di parole che portano in sé il più grande e rivoluzionario atto d’amore, se pronunciate e vissute con coerenza. La parola è come una soglia sulla quale si affaccia l’esistenza degli uomini e delle donne. È la vita che per sua natura cerca frontiere per espandersi – fino anche ad andare oltre la propria corporeità – per relazionarsi con il mondo e auto-comprendersi meglio. Non si vive se non si comunica, le parole non sono mai neutre, esprimono le intenzioni profonde di chi le usa.
La parola ci rende narranti e narrati, modifica il mondo che ci circonda, il rapporto con noi stessi e con gli altri, perché tutto è mediato dalle parole. Persino davanti a un quadro, una foto, un’esecuzione musicale abbiamo bisogno di parole se vogliamo che l’interpretazione sia possibile.
Nella Bibbia la Parola di Dio è Gesù, vero Dio e vero uomo. Il Figlio eterno è la Parola che, esistendo da sempre in Dio, è Dio stesso come afferma il quarto Vangelo: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Gv 1,1). In Lui si rivela il mistero di Dio Uno e Trino che è comunione e dialogo tra le persone divine. In Gesù Cristo, Dio ci ha destinati a essere suoi figli, fin da prima della creazione del mondo. Nella Genesi si racconta che, mentre lo Spirito aleggiava sulle acque, il Padre creò il cielo e la terra per mezzo della Sua Parola. Così l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, è chiamato a dialogare con il suo Creatore e a riconoscere il segno dell’uomo-Dio in ogni creatura con la quale entrare in rapporto. All’interno della relazione, le parole che aprono alla conoscenza, alla crescita, alla condivisione e alla solidarietà ci rendono umani, plasmano il mondo e noi stessi. Nel dialogo autentico, tutti vincono. Come ricorda Papa Francesco, diventare “prossimi” è il primo passo per ritrovare l’identità di un popolo.
Vorrei sottolineare come la sfida che abbiamo davanti è di natura antropologica e spirituale. E nell’enciclica Fratelli tutti, che ha ispirato gli autori del Vocabolario, Papa Francesco desidera “far rinascere un’ispirazione mondiale alla fraternità” (FT 6), riconoscendola come uno dei “segni dei tempi” indicati dal Concilio Vaticano II. È impensabile un futuro senza fraternità e molte delle parole del Vocabolario lo hanno descritto: dalla solitudine dell’io è urgente costruire un “noi sociale”.
Tuttavia, ci troviamo davanti a un bivio: da una parte, parole consumate e svuotate di significato che nei mondi che abitiamo diventano come scintille capaci di innescare incendi devastanti. Lo sosteneva Goebbels, il responsabile della propaganda nazista, quando ripeteva che “parole false ripetute all’infinito diventano verità”. Anche la corruzione, l’illegalità e la negazione dei diritti spesso nascono da un abuso del linguaggio, da parole che hanno perso il loro significato originario e sono trasformate in strumenti di manipolazione.
Dall’altra parte però la parola che libera e crea, riscatta e guarisce le ferite del cuore, difende l’umanità e afferma che la vita è sempre più forte della morte. Parole buone, infatti, possono cambiare il corso della storia: nel secolo scorso, l’approvazione della Dichiarazione universale dei diritti umani e di molte Costituzioni nazionali ha rappresentato un importante passo avanti verso la costruzione di un mondo più giusto e fraterno.
Questi traguardi sono stati il frutto di accordi basati sulla consapevolezza che parole umane e fraterne sono un valore fondamentale per la convivenza umana. Esempi significativi di come la fraternità possa trasformare la storia sono l’accordo del 13 settembre del 1993 tra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat nel cortile della Casa Bianca, l’amnistia concessa in Sudafrica da Nelson Mandela nel 1994 attraverso la Commissione per la verità e la riconciliazione e i più recenti processi di pace in Colombia e in Bangladesh. In quest’ultimo caso, il richiamo al professor Yunus e al suo modello di microcredito dimostra come la fraternità possa promuovere anche lo sviluppo economico e sociale. Tuttavia, la fraternità è come un giardino: ha bisogno di essere costantemente curato e nutrito. Se non coltivato attivamente, rischia di appassire e di lasciare spazio a nuove forme di conflitto e di violenza: il male di nuovi lager e degli eccidi, le guerre moderne in cui si sacrificano gli innocenti e le violenze diffuse. Lo splendido caleidoscopio di significati che gli autori hanno composto attraverso le 365 parole sgorgate dall’intelligenza dei cuori, lascia intravedere l’espressione plurale dell’umanità, accomunata da sentimenti, passioni, aspirazioni, ideali… Credenti e non credenti di buona volontà convergono insieme su una “parola umana”.
Proprio a partire dall’esperienza comunitaria che ha generato questo Vocabolario fatta dall’incontro con uomini e donne che cercano la giustizia e la pace, sono sempre più convinto che nel mondo abbiamo bisogno di andare oltre le Carte dei diritti nate dopo la Seconda guerra mondiale e pensare a una “Carta dell’umano”, in cui definire ciò che ci rende umani oggi, non solo attraverso i diritti e i doveri, ma anche i comportamenti e gli atteggiamenti, i sentimenti e i desideri, i sogni e i progetti che ci fanno riconoscere uomini e donne.
Dobbiamo giungere a dichiarare universalmente cosa è disumano e cosa riconosciamo umano e capace di nutrire l’umano, fino a farlo divenire l’umano divino del quale Gesù è la manifestazione.
Per questo mi auguro che intorno a questo Vocabolario nascano “luoghi relazionali” che permettano a giovani, universitari, laureati, imprenditori, amministratori, politici ed economisti e altre categorie di formarsi e incontrarsi, conoscersi e connettersi intorno al significato di queste parole, che non si esauriscono, ma potranno essere arricchite da altri autori, da esperienze e progetti che respirano già di fraternità. Rimanere umani è una sfida grande, ma la storia ce lo insegna, “ci sono persone che lo fanno e diventano stelle in mezzo all’oscurità” (FT 222).
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