Capire bene cosa sta succedendo in Medio Oriente, e quali potrebbero essere le vie di uscita da un conflitto potenzialmente molto pericoloso, anche per l’Europa, non è facile. Soprattutto se non si conosce la storia degli ultimi cent’anni di guerre e carneficine in Palestina.
Un aiuto competente ce lo può dare la Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina dal 1882 a oggi (Fazi, 2024) ricostruita da Ilan Pappé, uno storico israeliano (è nato a Haifa nel ‘54) fuori ordinanza, che è andato a vivere nel Regno Unito, dove dirige il Centro europeo per gli studi sulla Palestina dell’Università di Exeter. Ha scritto oltre una dozzina di libri tra cui il bestseller La pulizia etnica della Palestina (sempre per Fazi) e nel 2015 Palestina e Israele: che fare?, insieme al filosofo, anch’egli ebreo, Noam Chomsky.
Pappé questa storia, del resto molto controversa, nonostante sia israeliano (ma di estrema sinistra e apertamente anti-sionista) la descrive tutta dalla parte dei palestinesi, e in maniera molto critica, non solo verso l’attuale governo di Benjamin Netanyahu, o quelli di Begin e di Sharon del passato, ma mettendo in discussione anche l’operato di Ben Gurion, Rabin, Barak, e la linea “pacifista” di governi americani come quelli di Clinton e Obama.
Il conflitto in Palestina, spiega Pappé, non è iniziato con lo spaventoso attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. E neppure nel 1967, quando Israele occupò la Cisgiordania, né nel 1948, quando venne proclamato lo Stato ebraico: “È iniziato nel 1882, quando i primi coloni sionisti sono arrivati in quella che era la Palestina ottomana”. Lo storico parla apertamente di un progetto di “pulizia etnica” a danno dei palestinesi in atto da 75 anni.
In primo luogo, confuta la “leggenda” che la Palestina, prima del ritorno degli ebrei, “fosse un luogo deserto – una terra senza popolo per un popolo senza terra, come recita lo slogan sionista. È una bugia, e basta una scorsa ai libri di storia per smentirla”. Poi analizza a fondo il legame, che di solito si trascura, tra il nascente Stato ebraico e “gli interessi imperiali britannici durante e dopo la Prima guerra mondiale”: i palestinesi, dice, non furono trattati “come le altre nazioni nascenti” dalla dissoluzione degli imperi coloniali, “vale a dire che avrebbero potuto esercitare il diritto all’autodeterminazione e ottenere l’indipendenza. Questo rese gli inglesi complici” della situazione di conflitto permanente.
La sua tesi più importante è però che la nuova nazione ebraica altro non sia che “un movimento coloniale insediativo”, ovvero “coloni europei che hanno cercato di costruire una nuova Europa al di fuori dell’Europa, dove non erano più graditi”. E “hanno scelto luoghi dove vivevano già altre persone”, considerate presto come “un ostacolo da rimuovere”.
I limiti della sua ricostruzione, storicamente accurata, stanno nella scarsa considerazione dell’elemento religioso (ebraico, islamico, cristiano) nella storia di questa terra, nell’ombra in cui mantiene le azioni terroristiche di marca palestinese (poco ci dice di Hamas, niente del lancio costante di missili su Israele), al contrario spiega bene i rapporti, spesso non facili, tra palestinesi e Paesi come l’Egitto, la Siria, la Giordania, l’Iraq, e le azioni di lobbying intraprese dai sionisti presso il potere coloniale britannico prima e americano poi; così come aiuta a capire i motivi del fallimento dei vari tentativi di portare pace in Palestina: “La soluzione dei due Stati, ovvero l’idea principale alla base del cosiddetto processo di pace, è fallita miseramente. Di fatto non è più praticabile, data la presenza di 700mila coloni ebrei in Cisgiordania e lo spostamento dell’intero sistema politico israeliano a destra, che non farà che intensificarsi”.
Per Pappé potrebbe risolvere la questione palestinese solo una rinnovata “lotta anti-coloniale”, che prefiguri un Israele Stato non “ebraico”, ma completamente laicizzato, democratico e pluralista, libero da qualsiasi reminiscenza biblica: l’esatto contrario, cioè, della radicalizzazione che vediamo crescere in questi anni, non solo a Gerusalemme ma anche a Gaza e Teheran, altro polo fondamentale di questa vicenda che rimane in questo breve saggio del tutto inesplorato. “È evidente – conclude lo storico – che Israele in quanto progetto ebraico non funziona. I leader israeliani contemporanei non offrono alcun progetto di pace e normalità per gli israeliani in un mondo arabo”.
Senza il “pieno riconoscimento internazionale del diritto dei palestinesi a portare avanti la lotta di liberazione – avverte – la carneficina in Israele e Palestina continuerà”.
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