“E poi mi sono svegliato”, dice lo sceriffo Tom Bell nella sequenza finale del film del 2007 Non è paese per vecchi, tratto dall’omonimo coevo romanzo di Cormac McCarthy: la pellicola è ambientata nel Texas del 1980, ma la frase si applica molto bene al nostro tempo, nel quale è ormai da circa un ventennio che gli eventi ci costringono a svegliarci dal torpore in cui eravamo caduti almeno a partire dall’indomani della caduta del Muro di Berlino. Quando avevamo iniziato a coltivare l’illusione che la globalizzazione della terza rivoluzione industriale di marca statunitense dei telefoni cellulari, dei personal computer e del web potesse avere solo un volto buono: e che, a partire dal 2000, la sua trasformazione nel 4.0 dello streaming, del digitale e dei social fosse un’ulteriore conferma di tale tendenza.



Non si erano ancora affermati streaming e smartphone quando, nel primo pomeriggio dell’11 settembre 2001, dovemmo accendere la tv per vedere quello che stava succedendo a New York. Alcuni anni dopo, la crisi economica del 2008 e oggi il Covid, i Black Lives Matter e l’assalto a Capitol Hill ci dicono che la globalizzazione nasconde un volto disumano che all’inizio restava nascosto, ma che ormai sembra aver preso il sopravvento.



Chi si era illuso che la globalizzazione poteva rappresentare la vittoria definitiva della libertà occidentale sul terrorismo e sulla tirannide rivoluzionaria e totalitaria si è dovuto ricredere in questi ultimi vent’anni. E (fatto ancora più inquietante) oggi sopravvivono in Occidente brandelli di terrorismo e anche di quel social-comunismo che proprio la globalizzazione Usa aveva sconfitto come sistema economico e di potere in Urss: certo in modalità diverse, ma pur sempre nella forma di esperimento ideologico di distruzione e riedificazione del mondo.

Ecco allora che tra Richmond e Minneapolis (passando per Washington) qualcuno pensa che essere rappresentati politicamente significa abbattere le statue di Cristoforo Colombo oppure assaltare il palazzo del Congresso a Capitol Hill per contestare un risultato elettorale. L’errore che accomuna i demolitori di statue e gli assalitori del Congresso sta nel non aver compreso che l’essenza della democrazia in America, come nel 1835 scriveva il suo primo e ancora insuperato commentatore Alexis de Tocqueville, è la somma di due idee: lo spirito di religione e lo spirito di libertà.



Il radicalismo di sinistra, che rifiuta Colombo, dimentica che il motivo per cui Washington si chiama District of Columbia (DC) è un richiamo, attraverso la figura di Cristoforo Colombo, alle origini occidentali e cristiane degli Stati Uniti. Gli estremisti di destra, che invece innalzano una croce di legno davanti al palazzo del Congresso di Capitol Hill a Washington (prima che una loro frangia minoritaria dia l’assalto all’edificio ed entri nell’Aula interrompendo la seduta), dimostrano di non comprendere che negli Stati Uniti lo spirito di religione si manifesta attraverso lo spirito di libertà garantita dalla Costituzione.

Gli Stati Uniti rimangono ancora l’unico Paese al mondo in cui l’illuminismo moderno va d’accordo col cristianesimo: nell’invenzione di questo equilibrio, del tutto assente a Parigi e a Mosca, risiede il motivo per cui gli Usa possono sperare di restare la potenza egemone. A patto di continuare a mantenere in vita questo equilibrio. Altrimenti potrebbe vincere Pechino: che, pur non avendo radici né cristiane né illuministiche (essendo erede del filone ideologico più estremista dell’illuminismo europeo attraverso il social-comunista Mao-Tze Tung), trafugherebbe definitivamente, dal cadavere degli Usa (defunti per aver tagliato le proprie radici cristiane e illuministe), il bottino tecnologico figlio di quelle due radici. Il risultato sarebbe la fusione, già in essere a Pechino e a Shanghai, tra social-comunismo ateo e liberal-capitalismo non cristiano.